La balla di Borrell
Bruxelles nega cedimenti a pressioni cinesi. Contro la propaganda per ora non ha mezzi
Bruxelles. L’Unione europea che aspira a diventare un attore geopolitico è impreparata ad affrontare le rudezze della geopolitica globale di questo Ventunesimo secolo, e ancor più la battaglia sulla disinformazione e propaganda che è scoppiata con la pandemia di coronavirus. Con l’esplosione dell’epidemia è apparso un nuovo attore globale delle fake news, per alcuni aspetti più temibile della Russia, che da anni usa ogni crisi per logorare il consenso attorno alle fondamenta democratiche del progetto comunitario attraverso social network e finti media direttamente legati al Cremlino. Con il coronavirus anche la Cina si è messa a diffondere “narrazioni complottiste e disinformazione” tra le opinioni pubbliche europee, utilizzando anche “operazioni sotto copertura” sui social media per distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità, accusare gli Stati Uniti per l’origine del Covid-19 e promuovere la sua immagine di soft power benevolo. Questa in sostanza è la conclusione che si può leggere nell’ultimo rapporto pubblicato dal Servizio europeo di azione esterna (Eeas) sulla disinformazione nella pandemia Covid-19. Ma la Cina rappresenta per l’Ue una sfida più insidiosa della Russia. Lo dimostrano le polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione del rapporto il 24 aprile, quando l’Eeas è stato accusato di aver annacquato i passaggi più critici su Pechino a seguito di minacce e ricatti venute dalla Cina.
“Non ci siamo inchinati a nessuno”, ha detto con tono stizzito l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, di fronte a una serie di deputati europei che venerdì 30 aprile lo hanno interrogato sul rapporto dell’Eeas sulla disinformazione. Una settimana prima il New York Times aveva raccontato, attraverso una serie di email interne che comprovavano “l’autocensura”, che il documento finale era stato modificato a seguito di una serie di pressioni di Pechino. Anche Reuters aveva scovato un po’ di corrispondenza interna, tra cui l’email di un diplomatico Ue che menzionava minacce di un alto funzionario cinese: se il rapporto fosse stato pubblicato nella versione originale, le conseguenze “saranno molto negative per la cooperazione” Cina-Ue. “Posso assicurarvi che non sono state introdotte modifiche al rapporto pubblicato la scorsa settimana per dissipare le preoccupazioni di una parte terza, in questo caso la Cina”, ha risposto Borrell al Parlamento europeo. Ma il confronto tra la versione originale del rapporto dell’Eeas e quella pubblicata il 24 aprile non lascia spazio a dubbi. Dai “key findings” del documento con data 20 aprile – che il Foglio ha potuto consultare – è scomparso un intero passaggio che chiamava direttamente in causa Pechino: “La Cina ha continuato a condurre una campagna di disinformazione globale per sviare la colpa dell’esplosione della pandemia e migliorare la sua immagine internazionale. Sono state osservate sia tattiche aperte che di copertura”. Nel rapporto finale è saltato il caso dell’ambasciata cinese a Parigi che aveva criticato la risposta della Francia al coronavirus (il ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian ha convocato l’ambasciatore a Parigi per protestare). In generale, il linguaggio sulla Cina è stato edulcorato. Nella versione del 24 aprile, la campagna di Pechino viene trattata come marginale rispetto alla Russia, al pari di Siria e Iran.
L’Ue non ha ancora deciso se la Cina sia un partner con cui dialogare per salvare il multilateralismo e le proprie esportazioni o un avversario strategico da cui difendersi. Al Parlamento europeo Borrell è stato dunque costretto ad arrampicarsi sugli specchi per giustificarsi sulle pressioni di Pechino, spingendosi fino a accusare il New York Times di fare il gioco della Cina. Poi si è lanciato in complesse spiegazioni su come funziona il processo di redazione dei rapporti dell’Eeas. L’Alto rappresentante ha comunque assicurato che “le campagne di disinformazione intenzionali e coordinate dovrebbero essere trattate come una minaccia ibrida alla sicurezza europea e globale” e che il coronavirus “ora ha portato questo lavoro in una nuova dimensione globale”. La realtà dei numeri dimostra quanto l’Ue, che si tratti di Cina o di Russia, sottovaluti questa minaccia. La divisione dell’Eeas responsabile della disinformazione – tre task force per Est, Balcani e Sud – per il 2020 ha un bilancio di appena 6 milioni di euro ed è attualmente composto da 38 funzionari (segretarie comprese). Ma solo una decina di loro si occupa esclusivamente di disinformazione. E questo malgrado il fatto che – come dice la versione originale del rapporto – “la disinformazione legata al Covid può avere un impatto diretto sulla salute pubblica e sulla sicurezza” dell’Ue.