(foto LaPresse)

Davvero vorreste un sovranista al governo? Ecco cosa succede nell'Ungheria di Orbán

Micol Flammini

Il numero dei contagi continua a essere basso. Ma secondo un rapporto dell'Oms, quelli forniti dal governo ungherese sono dati inaffidabili

Roma. A inizio aprile, qualche settimana dopo la conquista da parte di Viktor Orbán dei pieni poteri per gestire la crisi del coronavirus, alcuni medici ungheresi avevano avvisato che il numero dei malati di Covid-19 sembrava troppo basso. Il dottor Balazs Rekassy, consigliere del sindaco di Budapest, l’anti Orbán eletto a ottobre, aveva detto al New York Times che l’Ungheria non possedeva neppure un numero sufficiente di test, quindi i dati diffusi dal governo non potevano “essere realistici”. A questa interpretazione si è poi aggiunto un report dell’Oms, in cui l’Organizzazione mondiale della Sanità annotava che i contagi erano iniziati nella seconda settimana di marzo e le prime vittime avevano continuato a muoversi liberamente in Ungheria, e che la struttura principale utilizzata per effettuare i primi test, l’ospedale San Laszlo di Budapest, era diventata una fonte di contagio: chi credeva di avere il virus veniva lasciato assieme agli altri pazienti. Il New York Times, che ha letto il report, scriveva che secondo l’Oms i dati del governo ungherese erano inaffidabili.

 

In Ungheria il numero dei contagi continua a essere basso, 2.583 casi e 280 morti, ma quando il governo ha chiesto a tutti gli ospedali di liberare i letti per essere pronti in caso di aumento delle vittime, sono tornati i dubbi. I medici hanno avuto a disposizione due settimane di tempo per creare 39.500 posti letto, hanno dovuto comunicare alle famiglie che spesso le persone venivano rimandate a casa anche se non del tutto guarite. I medici si sono spesso trovati di fronte a un dubbio deontologico e morale e di fronte alla necessità di far posto anche nelle terapie intensive. Lo sgombero non è avvenuto con la velocità richiesta, e il capo dell’Istituto nazionale per la riabilitazione che avrebbe dovuto occuparsene è stato licenziato. I dottori hanno preso le sue difese, svuotare gli ospedali in fretta e senza linee guida da parte del governo non è un obiettivo semplice, soprattutto nelle condizioni in cui si trova il sistema sanitario ungherese da quando Orbán è stato eletto: il ministero della Sanità è stato abolito e le sue competenze sono state affidate a un organo più ampio: il ministero delle Risorse umane. Nel 2017 è stata eliminata anche l’autorità sanitaria che includeva una squadra di epidemiologi e lo scorso anno il Times aveva pubblicato un’inchiesta importante in cui dimostrava che i fondi europei che dovevano essere destinati agli ospedali e alla sanità in questi anni erano stati investiti in altro, soprattutto negli stadi.

 

Arrivare in condizioni peggiori allo scoppio di una pandemia sarebbe stato difficile, sono pochi anche i medici rimasti in Ungheria, in tanti hanno preferito lasciare il paese. Viktor Orbán è stato tra i primi ad approfittare della crisi, ma i suoi pieni poteri non alleviano le paure per un settore trascurato per anni. Rimangono i dubbi, tanti, e tutti i timori che la richiesta urgente di creare posti letto negli ospedali ha generato. E rimane una domanda che gli epidemiologi si fanno spesso, soprattutto con gli autocrati al governo: quanto possiamo fidarci dei dati diffusi?

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