Dopo un lockdown non è ancora finita. L'onda lunga di questa pandemia

Giulia Pompili

Così l’Asia si prepara per la “seconda ondata” del contagio

Roma. Non è finita. E non finirà presto. Molti paesi asiatici – quegli stessi paesi che hanno applicato metodi efficaci nel contrasto dell’epidemia e sono riusciti a mantenere bassi i numeri dei contagi – stanno adesso aumentando di nuovo le misure di sicurezza. La chiamano la seconda ondata: per fare un paragone con i terremoti, il rischio è che la scossa successiva sia più forte di quella precedente. Oppure che nella macchina di precisione di controlli, tracciamenti e isolamenti qualcosa vada storto, e basta un solo focolaio per far ripartire la paura.

 

 

Ieri in Corea del sud si sono registrati 91 nuovi casi di coronavirus, che hanno portato il numero di infezioni totali a 9.332. Il governo guidato da Moon Jae-in ha disposto la quarantena obbligatoria di 14 giorni per chiunque rientri dagli Stati Uniti. Per chi arriva dall’Europa, invece, è obbligatoria sia la quarantena sia il test all’arrivo, anche se non ha sintomi. All’aeroporto di Incheon sono attive sedici cabine dove si possono effettuare fino a duemila test al giorno. Di media quasi quattromila persone al giorno rientrano dai due continenti in Corea del sud, e mettere a terra i voli è fuori discussione, ha fatto sapere il governo di Seul, dato che la maggior parte di chi atterra sta tornando a casa. Ma per limitare ulteriormente i contagi “di ritorno” , a partire da lunedì, chi ha 37,5 di febbre non potrà imbarcarsi su un aereo per la Corea.

 

Il Giappone si trova in una condizione sospesa: i Giochi olimpici sono stati posticipati di un anno, ma fino a qualche giorno fa la situazione sembrava particolarmente tranquilla. Il governo di Shinzo Abe non ha mai dichiarato l’emergenza – pur avendo preso qualche misura cautelativa come la chiusura delle scuole. Per il resto: gente in giro, sulle metropolitane, e soprattutto focolai sotto controllo. Poi però i numeri hanno iniziato a salire, specialmente nella capitale, Tokyo, con quaranta nuovi casi solo ieri. Superati i 1.400 contagi a livello nazionale l’esecutivo di Abe è sempre più vicino a chiedere misure più restrittive. Nel frattempo lo ha fatto la governatrice di Tokyo, Yuriko Koike, che ieri in un appello ha chiesto alle persone di restare a casa durante il fine settimana per contenere una possibile “esplosione dei contagi”. Prima conseguenza: gli scaffali dei supermercati vuoti, come in tutti gli altri posti nel mondo.

 

 

A Hong Kong, la regione speciale cinese, solo ieri i nuovi casi di Covid erano 65. La chief executive ha chiuso i cinema e altri luoghi d’intrattenimento, ha vietato i raduni di più di quattro persone, ha obbligato i ristoranti a nuove regole di distanza sociale. Anche qui, come in molti altri paesi asiatici, il problema è soprattutto nei contagi di comunità che nascono dopo il ritorno in famiglia da parte di qualcuno che ha contratto il virus all’estero. E’ anche questo uno dei motivi che ha portato il governo di Pechino a prendere provvedimenti inediti l’altro ieri: i voli internazionali verso la Cina sono stati limitati a uno a settimana, e i visti per tutti gli stranieri sono sospesi – con varie eccezioni legate al mondo della diplomazia e al business. Di questa seconda ondata se ne parla sempre di più anche a Taiwan, modello di eccellenza contro l’epidemia, dove i contagi sono di nuovo in aumento. La comunità scientifica locale da giorni fa proiezioni e chiede al governo di prepararsi a un possibile lockdown per alleggerire la pressione sulla Sanità.

 

Ieri a Singapore è entrata in vigore l’ennesima legge che aggiorna – rafforza – le norme per contrastare l’epidemia: se per sbaglio ti avvicini a meno di un metro da una persona in un luogo pubblico, rischi la denuncia. Nella città stato i casi erano poche decine fino a qualche settimana fa, ora sono arrivati a 683. In una conferenza stampa ieri il primo ministro Lee Hsien Loong ha detto: “L’ondata deve ancora arrivare. Dobbiamo essere vigili, prima che la situazione vada fuori controllo”.

 

Nel sud-est asiatico la situazione è ancora più allarmante e confusa. Secondo gli esperti di Kuala Lumpur, la Malaysia ha già affrontato le prime due ondate, e la terza potrebbe essere arrivata. A febbraio i primi focolai sono stati individuati tra le persone che arrivavano dalla Cina. Ma poi c’è stata l’emergenza causata dall’annuale evento di preghiera islamica collettiva che si svolge poco fuori dalla capitale: il 28 febbraio scorso c’erano sedicimila persone, mille di loro sono già risultate positive. La terza ondata è il contagio delle comunità: chi ha partecipato a eventi di massa è tornato a casa sua, contagiando i membri della famiglia o gli amici. Focolai potrebbero nascondersi ovunque. La Thailandia ha superato i mille casi ed è ufficialmente in lockdown per i prossimi 7 giorni. L’Indonesia che ieri ha avuto il più alto numero di contagi in un giorno: ci sono 1.046 casi registrati e 87 morti da coronavirus, a Giacarta è già tutto chiuso – scuole, pub, cinema – ma il governo ora pensa a un blocco nazionale.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.