Vladimir Putin (foto LaPresse)

La botta del greggio

Daniele Raineri

La rappresaglia russa contro il petrolio americano mette in crisi molti altri paesi, alleati inclusi

Roma. La Russia ha deciso di rompere la pace interna all’Opec e di sfidare l’Arabia Saudita a chi vende il petrolio al prezzo più basso, ma con questa manovra annunciata venerdì a Vienna ha punito in modo duro alcuni alleati e alcuni paesi che non c’entrano nello scontro. 

 

Iran, Iraq, Venezuela, Siria, Egitto e altri rischiano di vedere le loro economie già piuttosto graciline stritolate o comunque danneggiate perché una grossa parte del loro budget nazionale si basa sulla vendita del greggio. Che da lunedì ha perso parte del suo valore.

 

E pensare che l’obiettivo della Russia non era colpire quei paesi – molti dei quali girano nell’orbita di Putin – e nemmeno di colpire l’Arabia Saudita, ma i produttori americani di shale oil, il greggio che viene estratto dalle rocce con un procedimento più costoso della normale estrazione. La Russia si è ribellata al fatto di essere soggetta a sanzioni americane e, al contempo, di aiutare i produttori americani – che erano molto felici dell’accordo russo con l’Arabia Saudita per tenere alto il prezzo del greggio. Venerdì scorso Mosca ha deciso di rompere questo schema, che pure conveniva a tutti, e di cominciare a vendere a un prezzo così basso che di fatto ci sta rimettendo (ma gli americani ci rimettono di più. Gli esperti parlano di colpo permanente all’industria dello shale oil negli Stati Uniti, perché a questo prezzo conviene abbandonare il settore). I russi in questo momento se lo possono permettere, perché avevano messo da parte molto denaro di riserva e possono andare avanti a colpire americani e sauditi per molto tempo. Quelli che non hanno questo tempo e questa resistenza sono tutti gli altri.

 

L’Iran è alleato della Russia nella guerra civile in Siria e in queste settimane è già in crisi per il coronavirus, che secondo i numeri ufficiali ha fatto per ora soltanto qualche morto in meno che in Italia. Secondo gli esperti tuttavia la situazione iraniana è molto più grave, le dimensioni del contagio sono più ampie di quello che dicono le fonti del governo e ci sarebbero molti più contagiati – nell’ordine delle decine di migliaia. L’Iran inoltre è sotto sanzioni internazionali e l’economia è in uno stato così disastroso che a metà novembre la gente è scesa in piazza a protestare, ma le manifestazioni sono state soffocate nel sangue. Non ci sono anche in questo caso numeri ufficiali attendibili ma si parla di millecinquecento morti (fonte: Reuters). Se a tutto questo si aggiunge la sfida del petrolio al ribasso appena scatenata da Mosca, è un insieme di circostanze durissime da tollerare.

 

L’Iraq ha già adesso un buco di quaranta miliardi di dollari nel budget per il 2020 e non aveva messo in conto un crollo brusco del petrolio, che è la principale fonte d’incasso. Il paese è paralizzato da una crisi politica che va avanti dal primo ottobre, la gente ha occupato il centro della capitale per protestare contro la povertà diffusa e contro il fatto che i ricavi del greggio non sono distribuiti con equità. Ebbene, quei ricavi già distribuiti male diventeranno meno e questo renderà le cose ancora più difficili.

 

La Russia in questi anni ha preso le parti del Venezuela nello scontro con l’Amministrazione Trump, ma questa guerra al ribasso con i sauditi rischia di dissanguare i venezuelani – che come si sa sono già messi molto male. Nei mesi scorsi avevano trovato un modo per compensare la perdita dell’intero mercato americano, avvenuta all’inizio del 2019 per decisione dell’Amministrazione Trump. Erano riusciti a trovare un nuovo, grande cliente nell’India. Nei momenti più tesi della crisi venezuelana, quando sembrava che il leader Nicolas Maduro stesse per essere spodestato, i russi mandarono un piccolo contingente di militari nella capitale Caracas, come segnale che anche in quel frangente avrebbero interferito molto volentieri – come hanno fatto altrove, dalla Siria alla Libia. Ora con questo scherzo del petrolio hanno dato al regime chavista una botta dura.

 

Ci sono stati che soffriranno in modo indiretto come l’Egitto, perché molti egiziani lavorano nei paesi del Golfo e spediscono soldi in patria e quei soldi sono una parte fondamentale dell’economia, ma con il mercato del petrolio così depresso ne circolano molti meno.

In molti sperano in una crisi a V, vale a dire un collasso veloce e molto acuto a cui però poi seguirà una ripresa altrettanto veloce che ci porterà di nuovo ai livelli di prima della crisi. Ma la questione petrolio è anche legata alla questione coronavirus – che ha fatto rallentare la domanda – e quindi la ripresa rischia di essere molto più lenta e di non assomigliare per nulla a una V.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)