I democratici avrebbero dovuto twittare la bandiera, non darsi alla retorica perdente
Sulla politica estera e di sicurezza non si scherza, s’arzigogola o si divaga. Neanche la volta che l’impostore fa per obbligo la cosa giusta
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Contro i deliri della cartomanzia geopolitica
Ben Sasse è un senatore americano, un repubblicano dissidente del Nebraska, tra i pochi a non compromettersi con la leadership erratica, con l’impostura di Donald Trump, tra i pochissimi ad averla duramente contrastata a prezzo di tutta la sua carriera parlamentare. Ieri quest’uomo coraggioso ha detto che “solo un’ubriacatura facinorosa” può delegittimare l’ordine di annientare il generale Suleimani e i suoi complici iracheni con uno strike ben mirato: “Il generale Suleimani ha ucciso centinaia e centinaia di americani e stava pianificando attivamente nuove stragi. Questo Comandante in Capo, come qualunque C-in-C, aveva il dovere di difendere l’America uccidendo questo bastardo”. Il linguaggio vendicativo e patriottico all’estremo è del Nebraska, ma il senso politico è cristallino. Uno straordinario spirito di sconfitta ha invece indotto i democratici americani a questa incredibile delegittimazione: siccome Trump è uno che poteva volare a Teheran a prendere un tè verde con Khamenei con la stessa disinvoltura con cui ha accolto una indicazione del Pentagono e ha dato un fatale ordine politico per ristabilire un minimo di equilibrio nella regione delle guerre di civiltà, siccome il suo comportamento è sempre e sistematicamente elettorale e inaffidabile dal punto di vista costituzionale e istituzionale, allora bisognava avallare l’assedio dell’ambasciata americana a Baghdad e sigillare, con una nuova dismissione del dovere politico e militare, il grave bilancio disfattista della presidenza Obama. Al contrario, i democratici avrebbero dovuto twittare la bandiera a stelle e strisce, punto; invece, prigionieri di una logica letale hanno fatto esercitazioni di retorica politica perdente.
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- Giuliano Ferrara Fondatore
"Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.