(foto LaPresse)

Perché sulle sanzioni alla Germania Trump non ha tutti i torti

Micol Flammini

Nello stringere accordi per la costruzione del Nord Steam 2, il paese della Merkel ha messo l’Unione europea in una posizione complicata, che amplifica le differenze tra gli interessi dei paesi membri

Roma. Le sanzioni americane contro la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, progettato per trasportare il metano dalla Russia all’Europa centrale, ritarderanno di qualche mese il completamento dell’opera, che verrà comunque portata a termine, assicurano le società, ma ne aumenteranno i costi. Una delle società che partecipano al progetto, la Allseas, si è già tirata indietro. Ma Mosca e Berlino sono sicure che il gasdotto, nonostante le sanzioni, vada portato a compimento. Gli Stati Uniti, che sono contrari dai tempi dell’Amministrazione Obama, credono che il progetto aumenterà la dipendenza dell’Unione europea dal metano russo – sarà un ostacolo alla diversificazione dell’approvvigionamento – e infine credono che sia una minaccia per la stabilità europea, soprattutto per i paesi dell’Europa orientale e per l’Ucraina, che verrebbe indebolita dalla realizzazione di una via del gas alternativa. La Germania è rimasta ferma nel suo sostegno alla costruzione del Nord Stream 2, aveva caldeggiato e ottenuto che la Russia firmasse con Kiev un accordo che rinnovasse i contratti per il passaggio del metano attraverso il territorio ucraino nella speranza che questo placasse le minacce di Washington. Washington non si è accontentata e dopo la Camera, anche il Senato americano ha accettato di includere nel National Defence Authorization Act del 2020 le sanzioni contro il Nord Stream 2, che prima di essere un fatto americano è un problema molto europeo. La Germania ha stretto accordi per la costruzione dell’oleodotto perché si tratta di un progetto che assicura delle forniture di gas a buon prezzo, ma nel farlo ha messo l’Unione europea in una posizione complicata, che amplifica le differenze tra gli interessi dei paesi membri e anche le incongruenze all’interno dell’Ue, mettendo, ancora una volta, una parte del blocco (Germania, Austria e Paesi Bassi e i paesi del nord) contro l’altra (Paesi baltici e Polonia).

 

Anche la Commissione europea si è opposta al Nord Stream 2, ha tentato di negoziare un accordo internazionale con la Russia per modificare la direttiva sul gas del 2009 al fine di stabilire un regime giuridico che fosse chiaro e che garantisse che il progetto fosse soggetto al diritto dell’Ue. Ma tutti i tentativi sono stati contestati da alcuni stati membri, Germania in testa. Così le opposizioni al Nord Stream 2 sono diventate parte di una disputa all’interno dell’Ue. La Commissione in questi anni non è stata in grado di intervenire, non ha avuto il coraggio di fermare la costruzione del gasdotto e, per molti paesi, gli Stati Uniti sono stati percepiti come l’unica forza in grado di intervenire e bloccare un progetto che aumenterebbe la dipendenza dell’Unione europea dal gas russo. La Germania, come scrive su Twitter l’ex presidente estone, Toomas Hendrik Ilves, ha scelto di ignorare il diritto dell’Ue in materia di liberalizzazione del mercato energetico (fa riferimento alla terza direttiva sull’energia). Il compito di approvare delle sanzioni contro un paese membro in contrasto con le leggi dell’Ue sarebbe dovuto spettare alla Commissione. È mancato il coraggio a Bruxelles, compensato invece dalla brutalità di Donald Trump, sostenuta anche dalla volontà di Washington di aumentare le esportazioni di gas americano nel mercato europeo per le quali il gasdotto che parte dalla Russia rappresenta un freno.

 

Molto dipende adesso da Berlino, che dovrà decidere se cedere di fronte alle resistenze di Stati Uniti e Unione europea o portare un elemento di tensione in più nei rapporti transatlantici e anche tra stati membri, mettendo la costruzione del Nord Stream 2 sopra alla coesione europea.

Di più su questi argomenti: