L'abbraccio di Angela Merkel con Nancy Pelosi alla Security Conference di Monaco (foto LaPresse)

Cantagliele ancora, Angela

Paola Peduzzi

La Merkel usa ogni incontro pubblico per ribadire l’assurdità dello scontro tra Trump e l’Europa. A Monaco, è stata più precisa del solito (e ha abbracciato solo una signora)

Ieri è arrivata Nancy Pelosi a Bruxelles ed è stata accolta come un Mr. Wolf pronto a sistemare i danni fatti dagli altri. La speaker della Camera americana è una delle protagoniste di questa stagione sciagurata di capricci e improvvisazioni: interpreta la parte dell’adulto. Prova a far ragionare il suo presidente, Donald Trump, quando non ci riesce lo mette in castigo – gli ha fatto rimandare il discorso sullo Stato dell’Unione perché il governo statunitense era in shutdown – e poi continua a stargli addosso, a chiedere spiegazioni e a mettere dei paletti alle sue pretese, pur se il ruolo le impone molti limiti. La Pelosi vuole rassicurare gli europei, cerca di spiegare che, nonostante le apparenze, i rapporti transatlantici sono destinati a rimanere stabili e forti, ma l’umore da questa parte dell’Atlantico è pessimo, soprattutto dopo che, alla Security Conference di Monaco dello scorso fine settimana, la cosiddetta “frattura transatlantica” ha preso forma in modo inequivocabile.

 

L’Ue non può più fare affidamento sull’“egemonia gentile” di Washington. I dettagli della frattura transatlantica

Quando Trump fu eletto alla Casa Bianca, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, disse che era arrivato il momento, per l’Unione europea, di rimboccarsi le maniche e trovare una propria autonomia rispetto alla superpotenza americana. Gli Stati Uniti potrebbero non essere più gli alleati che sono sempre stati, non facciamoci illusioni e anzi cominciamo a organizzarci. Sostituire una superpotenza non è tecnicamente possibile, non certo per l’Europa che, da sempre, fa affidamento sulla generosità e la compiacenza dell’America: che il Vecchio continente si sia approfittato dell’alleanza con gli Stati Uniti non è una novità della stagione trumpiana.

 

Barack Obama, che veniva accolto dalle nostre parti come una rockstar, ci aveva definito, noi groupie adoranti, dei “free rider”, degli “scrocconi” spesso moralisti – quante ne abbiamo dette e scritte contro l’imperialismo americano? – e tuttavia incapaci di costruire una propria indipendenza. Al vertice della Nato dell’estate scorsa, quando Trump pretese dai paesi europei un maggiore impegno nei contributi – il 2 per cento del pil – stava ribadendo una richiesta che era arrivata anche negli anni precedenti. Il fatto che gli europei debbano “fare la loro parte”, soprattutto per quel che riguarda la sicurezza e la difesa, non è retorica trumpiana: lo dicono in molti, in America. Il problema di oggi, il problema con Trump, è che è cambiata la natura stessa dell’alleanza transatlantica, perché è cambiato il ruolo che l’America vuole avere nel mondo. Se, nelle parole del presidente degli Stati Uniti, gli europei rappresentano una minaccia – commerciale, soprattutto, ma “minaccia” è un termine enorme se usato nelle relazioni internazionali – è chiaro che, in un colpo solo, l’Europa deve rinunciare a due convinzioni strategiche che durano da settant’anni: l’America non è un alleato scontato, e non si può fare più affidamento sulla “egemonia gentile” dell’America. Un colpo durissimo, insomma, agli europei e all’ordine globale in generale – chi pensa che queste siano scaramucce che indeboliscono o infastidiscono soltanto gli europeisti sottovaluta, e di parecchio, l’emergenza di questa frattura.

 

Dalla Siria alle armi nucleari passando per Nord Stream 2, l’Iran e le auto tedesche: tutte le critiche della cancelliera Merkel

Angela Merkel ha spiegato, nel suo intervento alla Security Conference di Monaco (soprannominata da Politico “Insecurity Conference”), i termini del problema. L’ordine globale guidato dalla superpotenza americana “è collassato in tanti piccoli pezzi”, ha detto la cancelliera, e ora che cosa dobbiamo pensare, che “ognuno possa risolvere meglio i problemi facendo da sé?”: “Sono molto convinta che mettersi nei panni degli altri e provare a trovare insieme soluzioni win-win sia meglio che pensare che ognuno possa risolvere ogni cosa da solo”.

 

La Merkel ha criticato il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, dicendo che così si rafforza l’asse russo-iraniano, e ha ammesso che lo scontro sull’accordo sul nucleare iraniano – gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente lo scorso anno – “mi deprime moltissimo”, ma ha aggiunto che non vuole dare seguito alla richiesta americana di abbandonare il deal: vedo che gli iraniani si rafforzano, ha spiegato la Merkel, ma “siamo più utili alla causa comune di contenere l’espansionismo iraniano uscendo dall’accordo o restandoci dentro?”. Secondo la Merkel si esercitano pressioni maggiori stando dentro l’accordo, così come è convinta che tutte le discussioni su Nord Stream 2, il gasdotto che arriva dalla Russia che secondo gli americani crea una dipendenza che indebolisce tutto l’occidente, siano in realtà pretestuose: anche durante la Guerra fredda “importavamo grandi quantità di gas russo. Non capisco perché i nostri tempi attuali debbano essere peggiori rispetto ad allora. Vogliamo che la Russia sia dipendente soltanto dalla Cina, è questo il nostro interesse europeo? Non credo proprio”. La cancelliera invita ad alzare lo sguardo oltre le scaramucce transatlantiche perché ad approfittarne sarebbero soltanto i cinesi e i russi, i principali candidati a sostituirsi come superpotenze mondiali.

 

Standing ovation per la Merkel, soltanto Ivanka (e due russi) restano impassibili e seduti. Per Pence pubblico freddissimo

Con il suo solito approccio matematico, la Merkel ha imposto una riflessione sul modello multilaterale nel suo complesso: non l’ha detto, ma di fatto stava chiedendo ai suoi interlocutori se avessero fatto per davvero l’analisi costi-benefici di un boicottaggio così plateale del progetto transatlantico. “Dobbiamo pensare attraverso strutture connesse tra loro, la questione militare è soltanto una di queste – ha detto la cancelliera tedesca, ribadendo la sua incrollabile fiducia nell’equilibrio del multilateralismo – Ma quel che pensiamo oggi nel XXI secolo, ora che siamo alla fine del secondo decennio di questo secolo, è che viviamo di fatto nelle stesse strutture che sono emerse dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale e il nazionalsocialismo. Queste strutture sono sotto una pressione incredibile, perché il mondo in grande evoluzione richiede che queste strutture si riformino. Ma non credo che questo significhi che dobbiamo semplicemente sfasciarle”.

 

Le riforme come costruzione, non come distruzione: è questo il punto d’appoggio dell’europeismo, checché ne dicano i sovranisti, che accusano l’Unione europea di voler continuare a vegetare su uno status quo ormai cadavere. Come già aveva detto a Davos, la Merkel ribadisce che il sistema internazionale è molto inquieto, e che ci sono tanti elementi di instabilità – geopolitici, commerciali, tecnologici e climatici – ma che la strategia della sfrontatezza adottata dall’America non soltanto non è d’aiuto, ma contribuisce ad aumentare i rischi per l’occidente. Bisognerebbe anche finirla con le bufale, ha fatto intendere la Merkel. “Volendo essere seri sulla partnership transatlantica, non è facile per me, in quanto cancelliera tedesca, leggere che il dipartimento del Commercio americano considera le auto tedesche ed europee una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Guardate, siamo molto fieri delle nostre auto e abbiamo tutto il diritto di esserlo. E queste auto vengono costruite negli Stati Uniti. La più grande fabbrica della Bmw è nella Carolina del sud, non in Baviera”, ha detto chiedendo poi perché le auto tedesche sono una minaccia quando vengono costruite in Baviera e non lo sono più se sono fatte a Spartanburg.

 

I dubbi degli esperti: se l’Europa esagera, cosa succede se Trump rivince nel 2020? La risposta in una foto con Nancy Pelosi

Standing ovation per la Merkel: gli unici a non alzarsi in piedi sono stati Ivanka Trump, seduta impassibile nel pubblico, e due funzionari russi. Dopo la cancelliera tedesca ha parlato il vicepresidente, Mike Pence, e la sala della conferenza è stata molto fredda nei suoi confronti. Pence non si aspettava nulla di diverso, tutti gli americani sono stati accolti a Monaco con pochi sorrisi e molte lamentele, soprattutto da parte dei diplomatici europei che, se interpellati, non fanno che ricordare i dispetti ricevuti negli ultimi mesi dai colleghi statunitensi.

 

Gli esperti sono molto pessimisti (anche sul cambiamento climatico: hanno sottolineato in modo ossessivo che a Monaco una temperatura così primaverile non si era mai vista) e dicono che difficilmente si riuscirà a ricomporre lo scontro transatlantico. Secondo alcuni, gli europei stanno anche un pochino esagerando nelle loro critiche all’Amministrazione americana: se poi Trump rivince nel 2020, che cosa facciamo? C’è chi risponde con la foto dell’abbraccio caloroso tra la Merkel e Nancy Pelosi: chissà che cosa si sono dette nell’orecchio le due signore. In quello scatto c’è al tempo stesso la forza e la debolezza della struttura globale liberale a trazione americana: la Merkel e la Pelosi sono entrambe a fine carriera, il tempo gioca a favore delle fratture, ma il momento di fare ordine è questo, è oggi, e c’è da fare affidamento su quel che possono ottenere due donne molto determinate e molto arrabbiate come loro.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi