Vladimir Putin (foto LaPresse)

I mercenari russi in Libia saranno più efficienti di Di Maio all'Onu

Daniele Raineri

Arrivano foto e video che confermano il sostegno sul campo di Putin ad Haftar, mentre a New York il nostro ministro degli Esteri punta tutto su incontri bilaterali all'Onu

Roma. Nella prima settimana di settembre un centinaio di mercenari russi è arrivato in Libia per combattere a fianco delle forze del generale Khalifa Haftar, che da sei mesi assedia la capitale Tripoli per cacciare il governo di Accordo nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite. La fonte della notizia è Samer al Atrush, inviato in Libia del sito americano Bloomberg News, che ha sentito fonti locali e anche fonti diplomatiche occidentali. Mercenari è un termine peggiorativo ma in questo caso è appropriato, perché non si tratta di forze regolari ma di uomini armati appartenenti a una compagnia privata, la Wagner, che spesso è usata da Mosca per intervenire all’estero senza prendersi responsabilità politiche. Il proprietario della Wagner è Yevgeny Prigozhin, un uomo molto vicino al presidente russo Vladimir Putin. E’ possibile che in Libia non siano arrivati soltanto uomini della Wagner, ma anche di altre compagnie private. Secondo fonti della Wagner, alcuni mercenari sono già stati uccisi in combattimento vicino Tripoli e in effetti sui social libici circolano già scatti dei documenti personali, delle carte di credito e delle immagini scattate con il telefonino di uno di questi russi (il nome è Vadim Bekshenev). Alcune foto mostrano uomini armati, che di sicuro non sono arabi, embedded con la “Brigata 106” delle forze di Haftar a Qasr Ben Ghashir, che è un distretto nella zona sud di Tripoli. Vale la pena ricordare che le milizie che combattono con Haftar si sono dati nomi come “Brigata 106” per sembrare unità di un esercito regolare, ma è una finzione. Anche fonti delle forze di Tripoli confermano il coinvolgimento dei russi e dicono di averli presi di mira in alcuni bombardamenti.

 

  

 

La notizia della presenza della Wagner in Libia era già arrivata, ma si parlava di un ruolo non ancora di combattimento. Piuttosto, i suoi uomini servivano come consiglieri politici – secondo alcune loro mail che sono entrate in possesso di un sito indipendente russo e del sito Daily Beast. Invece adesso si sa che dalla base di Jufra, che è in pieno deserto nella Libia centrale, i russi sono stati trasportati a sud di Tripoli, dove si combatte come in Siria una guerra che è sempre meno civile e sempre più internazionale. Questa base di Jufra era già spuntata fuori ad aprile, quando un prigioniero la cui testimonianza non è stata confermata da altre fonti raccontò di avere volato da Bengasi a Jufra assieme a trenta egiziani e sei consiglieri militari francesi. Senza aiuti da fuori la campagna di Haftar si sarebbe già spenta.

 

 

Putin si schiera con Haftar – e cento uomini sono un appoggio importante nel conflitto libico, che è su scala molto più ridotta di quello siriano – per dargli un po’ di vantaggio e di vittorie in vista della conferenza di pace di novembre in Germania. Intanto gli Emirati Arabi Uniti bombardano Tripoli in nome di Haftar e bombardano anche un aeroporto a Misurata dove c’è un contingente di trecento soldati italiani. Per ora nessuno nella comunità internazionale che pure in teoria appoggia il governo di Tripoli si è preso il disturbo di dire mezza sillaba sulla situazione. Il premier di Tripoli, Fayez al Serraj, la settimana scorsa è arrivato a Roma per chiedere aiuto ma non si è capito se abbia ottenuto qualcosa di concreto. A New York il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, è impegnato in una serie di incontri bilaterali – dai regni del Golfo alla Francia – per promuovere una soluzione pacifica e dice che “è necessario evitare che la Libia si trasformi in una nuova Siria”. E’ lecito coltivare qualche dubbio sul fatto che l’azione di Di Maio al Palazzo di vetro sarà più efficace dei mercenari russi sul campo. Il piano di Putin sembra proprio prendere a modello quello che è successo in Siria: appoggiare l’uomo forte locale e fargli vincere la guerra civile.

 

A rendere tutto ancora più surreale negli ultimi sei giorni il Pentagono ha bombardato due nascondigli dello Stato islamico nel sud della Libia e ha dichiarato di averlo fatto “in coordinamento con il governo di Accordo nazionale”, vale a dire il governo assediato da Haftar. Lo stesso generale Haftar che al telefono con Trump definisce la campagna di assedio a Tripoli “un’operazione antiterrorismo”.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)