Mark Zuckerberg, ceo di Facebook (foto LaPresse)

La scissione più patita d'America è quella tra Silicon Valley ed establishment dem

Eugenio Cau

Dalle accuse a Facebook per come ha gestito le notizie false nella campagna elettorale del 2016, alle battaglie anti monopòli tecnologici di Elizabeth Warren e Bernie Sanders. Fine di una storia romantica

Milano. La storia d’amore più tormentata degli ultimi anni, la scissione più sofferta, l’addio più inaspettato è stato – lo ha scritto il New York Magazine in un pezzo lungo e pieno di dettagli – quello tra il Partito democratico americano e la Silicon Valley. Mentre giovedì Mark Zuckerberg, ceo e cofondatore di Facebook, stringeva la mano a Donald Trump in un meeting tanto “costruttivo” (tutti lo sono) quanto segreto, e incontrava a cena e a colazione deputati e senatori americani uno più inferocito dell’altro, c’era ancora chi ricordava i bei tempi recenti, quando tra la Valle e i liberal di Washington era tutta una porta girevole. I bei tempi erano quelli in cui Sheryl Sandberg, braccio destro di Mark Zuckerberg e allieva di Lawrence Summers, era data come sicura segretaria al Tesoro della terza Amministrazione Clinton (quella di Hillary); i tempi in cui i social network erano considerati un elemento chiave per la vittoria elettorale di Barack Obama; i tempi in cui i consiglieri delle Amministrazioni democratiche passavano con nonchalance da Washington alle sedi colorate delle aziende tech, come Jay Carney, ex portavoce di Obama che è diventato il volto pubblico di Jeff Bezos e di Amazon. La contiguità era anche ideologica. Reid Hoffman, cofondatore di LinkedIn, durante la notte elettorale del 2016, distrutto alla notizia della vittoria di Donald Trump, trovò conforto nel riguardarsi la prima puntata di “The West Wing” la serie tv degli anni Duemila in cui la Casa Bianca a guida democratica è presentata come Camelot.

 

E’ stata quella notte elettorale del 2016, ovviamente, la prima crisi del rapporto. Quando Mark Zuckerberg disse che l’idea che le bufale condivise su Facebook avessero potuto avere un’influenza sulle elezioni era “da pazzi”, Barack Obama, ancora presidente, organizzò un incontro con il giovane ceo, lo guardò negli occhi e gli disse: “Non è affatto da pazzi”. Più di recente, Facebook si è rifiutato di cancellare un video falso in cui la speaker della Camera Nancy Pelosi appariva ubriaca, e quando Zuckerberg ha chiamato Pelosi per spiegare le ragioni della decisione lei non ha risposto al telefono, e non l’ha più richiamato. Poi, ovviamente, sono arrivati i progressisti. Elizabeth Warren aveva già cominciato anni fa a dire che gli imprenditori della Silicon Valley sono i nuovi “robber barons”, ma quando ha visto che l’idea stava prendendo velocità nell’elettorato ci è saltata sopra, ha redatto uno dei suoi famosi piani di policy e ha fatto dell’idea di scorporare i monopoli tecnologici uno dei temi centrali delle primarie democratiche. Bernie Sanders, compagno di lotte, le è subito andato dietro, e gli altri candidati si sono dovuti adattare. Pete Buttigieg, che per demografia e attitudine si troverebbe benissimo in un campus a Menlo Park, che ha conosciuto Zuckerberg ad Harvard ed è l’utente di Facebook numero 287 (oggi sono quasi tre miliardi), è stato costretto a prendere posizioni belle dure contro il suo ex collega di università. Nessun candidato democratico alla Casa Bianca ha ancora visitato la Silicon Valley, cosa impensabile quattro anni fa.

 

Il tour di Mark Zuckerberg a Washington questa settimana è il frutto di questa storia d’amore infranta. I democratici non soltanto si sentono traditi: sono anche piuttosto decisi a farla pagare a chi li ha abbandonati, anche perché sanno che le idee di Warren stanno diventando mainstream, anche tra i repubblicani. Secondo un sondaggio Pew uscito in questi giorni quasi il 70 per cento degli americani vorrebbe scorporare Big Tech, e il 77 per cento di loro sostiene che i leader della grandi compagnie tecnologiche abbiano almeno ogni tanto comportamenti non etici (i membri del Congresso sono all’80 per cento, e questo significa che i Bezos e gli Zuck sono visti alla stessa stregua dei tanto deprecati senatori e deputati). Nei prossimi mesi, i grandi della Silicon Valley si faranno vedere sempre più spesso a Washington, ma il romanticismo di un tempo è finito.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.