foto LaPresse

La protesta di Hong Kong vince il primo round contro Pechino

Paola Peduzzi

Carrie Lam ha ritirato formalmente la legge sull’estradizione. Dedicato a quelli che la democrazia è finita, fallita, perduta

Milano. Carrie Lam ha ritirato formalmente la legge sull’estradizione che ha portato migliaia di persone in piazza a Hong Kong per tre mesi, indefesse. La governatrice della ex colonia britannica tornata sotto il controllo della Cina ventidue anni fa, nel suo annuncio sintetico (otto minuti), ha detto di voler aprire un dialogo diretto con i cittadini, si comincia con togliere di mezzo la legge scandalosa ma si può andare avanti: vi ascolteremo, faremo giudicare alle autorità competenti l’operato della polizia (le autorità competenti non sono le autorità indipendenti che chiedono i manifestanti) ma chiediamoci tutti se davvero “è la violenza la risposta” a questa crisi.

 

Due giorni fa, il presidente cinese Xi Jinping aveva detto: “Sui princìpi, non concederemo nemmeno un centimetro, ma sulle tattiche ci può essere flessibilità”, ed ecco che la Lam, con quel suo sguardo triste e stanco di una che sa che il suo destino è quello di non accontentare nessuno, né i suoi capi cinesi né i suoi cittadini hongkonghesi, ha modificato la tattica: la concessione meno dolorosa, vediamo l’effetto che fa. E l’effetto era scontato, non metti sotto assedio il tuo paese, la tua quotidianità, forse un pezzetto del tuo futuro se è vero che Hong Kong rischia la recessione e ci sono più di mille persone arrestate, per poi fermarti al primo gesto che non è una manganellata.

 

Le proteste non sono finite e non finiranno, gli studenti hanno boicottato il rientro a scuola e continueranno a farlo, perché per i manifestanti la soppressione della legge non è sufficiente, sui loro canali Telegram ripetono “cinque richieste, non una di meno”, e soltanto una, ormai per la piazza la meno importante, è stata soddisfatta. Ora ci si batte per l’inchiesta sulle violenze della polizia, per l’amnistia ai prigionieri politici, per il suffragio universale arbitrariamente levato da Pechino, per togliersi di dosso l’etichetta infamante di “rivoltosi”. La scelta di non accontentarsi potrebbe essere quella più dolorosa per i manifestanti, Pechino vorrà riprendersi il centimetro infine concesso e molto di più, ha le mani che prudono da tre mesi, potrà riempirsi la bocca con il solito interesse nazionale da proteggere, guardate come ci stanno riducendo il nostro gioiello di modernità. Ma questo rischio, che c’era comunque, c’è dal primo giorno, non può coprire lo squarcio che si è aperto su un regime abituato a risolvere ogni dissidenza con sbrigativi colpi alla nuca: la protesta di Hong Kong ha resistito e ha funzionato, vuole resistere ancora e funzionare ancora: non era affatto detto, non è un evento da poco, per un mondo malato di rassegnazione e sempre meno sensibile alle battaglie per libertà e democrazia.

 

I regimi sparano, dicono i realisti, cerchiamo al massimo di contenerli, se proprio dobbiamo. I popoli che si ribellano hanno imparato a fare da sé, in Algeria le proteste pacifiche hanno portato alle dimissioni del rais Bouteflika, in Sudan l’accordo tra civili e militari si è trovato, pur dopo aver raccolto nel fiume a Karthoum decine di cadaveri con i massi ai piedi. A Hong Kong il senso di vittoria anche se temporaneo è ancora più evidente, Pechino ha tentato la via repressiva ma ha dovuto trattenersi fino al punto di offrire persino uno scampolo di dialogo. I popoli che si ribellano temono le armi dei dittatori quanto la solitudine e l’indifferenza degli altri paesi, soprattutto di quelli che giochicchiano con le loro democrazie fino a romperle, ma che possono – loro sì – provare a riaggiustarle nei loro parlamenti, non tra i lacrimogeni e i bastoni.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi