Migliaia di manifestanti protestano pacificamente a Hong Kong (foto LaPresse)

Twitter reagisce alla propaganda cinese, ma quanti distinguo

Eugenio Cau

Il social network ha svelato una rete di disinformazione su Hong Kong e non accetterà più i soldi del regime per sponsorizzare tweet

Milano. Ieri Twitter ha messo in atto una serie di misure dopo che negli ultimi giorni era stato oggetto di polemiche da parte di esperti di tecnologia e difensori dei diritti umani per aver consentito che la sua piattaforma venisse strumentalizzata dalla propaganda del regime cinese contro le manifestazioni a Hong Kong. Le polemiche derivavano dal fatto che, durante le manifestazioni di domenica nella città, su Twitter apparissero tweet sponsorizzati di Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale cinese, organo di informazione e, soprattutto, di propaganda del regime di Pechino. Con tweet sponsorizzati si intende: Xinhua pagava Twitter per fare in modo che i suoi tweet fossero in evidenza rispetto agli altri, apparissero più spesso e soprattutto fossero visti dalle persone che cercano informazioni su cosa succede nell’ex colonia inglese. Così, mentre le manifestazioni a Hong Kong contro il governo e per la libertà erano pacifiche e ordinate, su Twitter apparivano in evidenza i temi di propaganda del Partito comunista cinese, che già da settimane aveva ingaggiato una battaglia di disinformazione contro i manifestanti, usando diffusamente quei social network occidentali che nella Cina continentale (ma non a Hong Kong) sono banditi perché difficili da controllare per il regime. La propaganda sostiene che i manifestanti pacifici siano “teppisti” e “banditi” violenti e sobillati dagli Stati Uniti e dall’Europa. Il loro obiettivo sarebbe distruggere l’armonia e la prosperità di cui gode la città e, in ultima istanza, provocare la separazione di Hong Kong dalla madrepatria. La propaganda esagera come atti di violenza inaudita da parte dei manifestanti tutti gli scontri (anche quando è la polizia a manganellare) e insiste molto sul fatto che le manifestazioni condurranno la città alla rovina economica. L’intenzione di Xinhua è piuttosto chiara: fare in modo che la propaganda del regime diventi la versione ufficiale dei fatti a proposito di quello che succede a Hong Kong. Meno chiara era la posizione di Twitter: perché la piattaforma social prende soldi da Xinhua trasformandosi in complice di fatto della guerra di propaganda di un regime contro manifestanti che chiedono libertà? A notare questa gran contraddizione è stato – ovviamente su Twitter – un utente anonimo che si chiama Pinboard. Le sue osservazioni sono state subito corroborate da esperti e dallo strumento di trasparenza che Twitter fornisce per i suoi tweet sponsorizzati e che mostra tutti i tweet per i quali Xinhua ha pagato la messa in evidenza.

 

Per rispondere alle critiche, ieri Twitter ha comunicato un cambiamento di politica importante, assieme a un’azione anti propaganda. Sul suo blog ufficiale, il social network ha annunciato che, a partire da ieri, i media che si occupano almeno in parte di news e che sono sottoposti a controllo statale dal punto di vista finanziario o editoriale non potranno più usare i prodotti di promozione e sponsorizzazione. Twitter ha detto che lavorerà con i migliori enti internazionali e con esperti accademici per definire quali saranno i soggetti sottoposti al bando, e già si intravedono le polemiche: si tratterà di tutti i media di stato? Le televisioni pubbliche occidentali saranno incluse o no? Su che base?

 

Inoltre, Twitter ha reso noto di aver svelato una gigantesca operazione di propaganda statale con base in Cina e di aver chiuso 936 account che, usando delle VPN, diffondevano disinformazione sulle proteste a Hong Kong e a favore del regime. Twitter ha inoltre chiuso “proattivamente” un network di 200 mila account (!) fatto probabilmente di bot, che ancora non era entrato in uso nel sistema della propaganda ma che stava per farlo. 

 

La risposta di Twitter è stata decisa. Si attirerà il plauso di molti, e come tutte le decisioni di policy molto ampie incapperà in problemi e distinguo. Ma è un passo avanti e un tentativo di reazione ai regimi che utilizzano gli strumenti della democrazia contro la democrazia stessa.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.