Spagna, il premier Pedro Sanchez con il leader del partito Podemos Pablo Iglesias (LaPresse)

I 370 motivi di Sánchez per governare senza Podemos con i voti di Podemos

Guido De Franceschi

Mentre i ciudadanos saltano con i turbotoreri di Vox cantando cori patriottici, i socialisti pubblicano un programma di sinistra che fagocita quasi tutto quello che il partito di Iglesias potrebbe chiedere

Milano. Se il Congresso non voterà la fiducia a un esecutivo entro il 23 settembre, la Spagna dovrà tornare al voto per la quarta volta in quattro anni. Per questo ieri il premier uscente e forse rientrante, il socialista Pedro Sánchez, ha pronunciato in un sol colpo sia un discorso di investitura sia il lancio di un’eventuale campagna elettorale. E altro che venti temi irrinunciabili, altro che raddoppi di punti come alla Standa o come al Corte Inglés, che perlomeno è una catena di grandi magazzini ancora esistente: il programma per un governo progressista che Sánchez ha proposto ieri a Podemos (se Podemos vorrà raccogliere la sfida) e agli elettori (se Podemos si sfilerà), si articola in ben 370 – trecentosettanta! – voci.

  

Questo programma riflette il desiderio dei socialisti di dire cose di sinistra, senza paura e senza travestimenti. Infatti Il Psoe si è temporaneamente liberato dalla concorrenza al centro da parte dei sedicenti liberali di Ciudadanos, che hanno perso la bussola che indica la Moncloa e hanno scelto di tumularsi nel bunker derechista che ospita anche il Pp e gli ultrà di Vox. Anzi, i seguaci di Albert Rivera sono diventati molto più ostili a ogni dialogo con Sánchez di quanto non lo sia il Partito popolare. Il povero Manuel Valls, l’ex primo ministro francese che si era catastroficamente immolato nella corsa a sindaco di Barcellona sotto le insegne ciudadane, ha tentato invano di spingere Rivera verso il negoziato, ma niente, si è visto costretto a lasciare quella casa politica e ora twitta dei malinconici “Merci Matteo” per festeggiare il pattismo di Renzi.

  

Quindi, mentre i ciudadanos saltano con i turbotoreri di Vox cantando cori patriottici (“Yo soy español, español, español!!!”), i socialisti hanno reso pubblico un programma sbandierato a sinistra che fagocita quasi tutto quello che il partito di Pablo Iglesias, ormai abbondantemente devenezuelizzato dalla frequentazione con la politica vera, potrebbe ragionevolmente chiedere a un governo di centrosinistra. Ma 370 “temi” non posson bastare e, per quanto dissimulato, il problema rimane quello delle poltrone: Podemos vuole a tutti i costi un governo di coalizione che preveda dei suoi ministri, mentre i socialisti sono ormai disponibili a parlare soltanto dell’appoggio esterno di Podemos a un monocolore socialista di minoranza e offrono tutt’al più incarichi extragovernativi.

  

Sì, ci sono alcune somiglianze con quanto è accaduto in Italia nelle ultime settimane: un tentativo di patto tra il centrosinistra tradizionale e un movimento incline ai bollori populisti; la volontà di tagliar fuori la destra oltranzista; il ricorrere di menate ipocrite sulla volontà di parlare solo di temi e non di poltrone; il residuo di imponderabilità anche in caso di un accordo tra i due principali contraenti – qui il responso di Rousseau, lì la necessità di ottenere almeno qualche astensione da parte degli indipendentisti catalani, a cui Sánchez ha già detto “niet” in relazione a qualsiasi ipotesi di referendum di autoderminazione. Infine, a Madrid come a Roma, si è discusso tenendo un occhio attentissimo ai sondaggi. E qui si staglia la differenza tra il caso italiano e il caso iberico.

  

In Spagna tutti i sondaggi, in caso di ritorno alle urne, concordano: da una parte, su il Psoe e giù Podemos; dall’altra, su il Pp, molto giù Ciudadanos e stabile Vox. Con un corollario determinante: la prossima volta la somma di un Psoe rafforzato e di un Podemos indebolito potrebbe garantire una maggioranza assoluta autonoma in Parlamento. E proprio per la consapevolezza di avere un’altra chance forse addirittura migliore di questa, ieri Sánchez ha potuto esibire la quieta gravitas che ha imparato dal suo predecessore Rajoy e ha potuto concentrarsi nel tentativo di dare un surplus di intensità al suo non intensissimo sguardo per trasmettere con qualche successo quella passione che da un programma articolato in 370 temi – uno al dì per un anno, festivi inclusi, e ne avanzano ancora cinque – non potrà mai sprigionarsi.

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