La libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix

In Francia la battaglia dei décolleté contro la polizia morale islamista

Mauro Zanon

Mentre tornano le polemiche sul burkini un gruppo di donne lancia l'hashtag #jekiffemondécolleté per rivendicare il diritto di vestirsi a proprio piacimento senza subire commenti inadeguati o rimproveri d’altri tempi

Parigi. Da una parte le autoproclamate “Rosa Parks musulmane”, che fanno irruzione in una piscina di Grenoble indossando un burkini (il costume islamico che lascia scoperto soltanto l’ovale del viso) per vedere fino a che punto la società laica francese resisterà all’avanzata dell’islam politico; dall’altra un’ondata di femministe e un nuovo hashtag, #jekiffemondécolleté, per rivendicare il diritto di vestirsi a proprio piacimento, con un décolleté più o meno generoso, senza essere trattate da pute, subire commenti inadeguati o rimproveri d’altri tempi, ma soprattutto per denunciare la police vestimentaire, la polizia morale che domina nelle banlieue multietniche irrigate dall’islam e in certe zone di Parigi.

 

Sono due France che si guardano con diffidenza e incomprensione, sono i due volti di un paese spaccato sui valori cardine e sul significato di diritti delle donne a emergere con prepotenza in questi primi giorni d’estate. Le polemiche sul burkini ritmano le estati francesi da tre anni, da quando l’allora primo ministro, Manuel Valls, condusse una battaglia muscolare contro l’uso del burkini sulle spiagge francesi, contro gli islamisti che utilizzavano le donne come cavallo di Troia per “halalizzare la Francia”. Ma ora i tentativi per imporre il costume che Valls definì “la traduzione di un progetto politico di contro-società” si fanno più intensi, e al governo, per ora, non si è levata nessuna voce per condannarli.

 

Ieri, come già accaduto un mese fa, sette donne del collettivo Alliance Citoyenne (nome neutro ma dietro cui si nasconde un’associazione militante vicino all’islam politico) si sono incuneate nella piscina Jean-Bron di Grenoble, e in totale violazione della laicità e del regolamento delle piscine pubbliche, si sono gettate in acqua con addosso il burkini. “Vogliamo disobbedire per rivendicare il diritto di farci il bagno coperte”, hanno affermato le “Rosa Parks musulmane”. Soltanto l’intervento della polizia ha permesso di liberare la piscina dalle militanti, che avevano convocato i media alle 17.00 affinché il loro happening avesse più eco possibile. «Vogliamo soltanto fare sport», reclamano le donne, ma per l’opposizione e alcune figure importanti della sinistra laica come Gilles Clavreul si tratta dell’ennesimo tentativo, da parte degli islamisti, di imporre la norma cultuale, di testare il livello di resistenza della République. Ma mentre queste donne gridavano in faccia a tutti i francesi laici la loro voglia di coprirsi, di fare il bagno in nome della presunta “libertà delle donne velate”, migliaia di femministe, scandendo orgogliose il trittico Liberté, égalité, décolleté, invocavano il diritto opposto: quello di scoprirsi, come e quanto si vuole.

 

  

Tutto è partito da un’utente Twitter, Céline B., che ha pubblicato la foto di una canottiera che ha portato il 18 giugno, con questo messaggio: “Secondo un tipo che ho incrociato prima, ho un décolleté da sporca baldracca…sappia che io e le mie tette lo mandiamo a gran voce a farsi fottere”. Le reazioni di sostegno sono state istantanee, a partire da quella di Zohra Bitan, opinionista di spicco dell’emissione Les Grandes Gueules, in onda su Rmc. La Bitan, di origini algerine, nata e cresciuta nella gauche, è una fustigatrice dell’islam politico e degli utili idioti che fanno di tutto per favorirlo, è una militante laica e anti velo determinata come poche altre in Francia, e sabato, lanciando l’hashtag #jekiffemondécolleté, amo il mio décolleté, ha azionato una vera e propria campagna in difesa di Céline B. e di tutte le donne importunate, una campagna contro la polizia morale che vorrebbe coprirle. “Ci sarà molto caldo questa settimana e ne approfitto per dire alle donne che non è certo un pretesto per vestirsi come delle puttane”, ha scritto un utente su Twitter. La Bitan lo ha segnalato alla segretaria di stato per le Pari opportunità Marlène Schiappa. Reagirà? O resterà in silenzio come lo è stata finora anche sulle “Rosa Parks musulmane”?

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