Boris Johnson e Jeremy Hunt escono da un consiglio dei ministri quando facevano entrambi parte del governo May (Foto LaPresse)

Boris vs Hunt. Che cosa dobbiamo aspettarci da qui al 31 ottobre

Paola Peduzzi

Ora i Tory inglesi sceglieranno il prossimo premier. Il bazaar dei deputati (già iniziato) e tre esiti possibili per la Brexit

Milano. I candidati alla successione della premier britannica, Theresa May, si sono litigati i deputati conservatori per settimane, tra corteggiamenti e sgambetti, e alla fine sono rimasti in due: il predestinato Boris Johnson, ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri, e Jeremy Hunt, ministro degli Esteri celebre per aver paragonato l’Unione europea all’Unione sovietica. Ora saranno i membri del partito, 160 mila persone, non moltissime, a scegliere, ma gli anti Boris contavano su un inciampo in questa fase parlamentare: sopravvissuto a questa, sembra inarrestabile. Una volta che arriva davanti agli iscritti Johnson è avvantaggiato: è noto e popolare, la soglia di tolleranza alle fandonie nel suo pubblico è molto elevata (lo studioso polacco Slawomir Sierakowski ha scritto un articolo molto bello sul populismo-teflon, che sopravvive a bugie e scandali: parla della Polonia, ma vale ovunque). Johnson è stato abile a non prestarsi alle trappole dei compagni di partito: ha deciso di parlare poco e mostrarsi ancora meno – ancora oggi, andando alle votazioni, si è trattenuto passando davanti ai giornalisti, che invece speravano in una delle sue battute – e soprattutto ha fatto i calcoli giusti.

 

A Westminster circola la leggenda che il team di Johnson abbia azzeccato alla perfezione i risultati delle votazioni e per aggiungere ancora più sostanza a questa trasformazione si dice che il metodo sia stato studiato sui libri che lo storico Robert Caro ha dedicato a Lyndon Johnson. Comunque sia, Boris Johnson è il favorito, e tutti i conservatori si stanno adeguando: oggi l’Evening Standard diretto da George Osborne, ex cancelliere dello Scacchiere cameroniano cacciato dal governo dopo il referendum sulla Brexit vinto da Johnson, ha fatto l’endorsement per l’ex nemico, che compariva sulla copertina nella foto più rassicurante mai vista e il titolo “Boris diventa serio”, ed è la prima volta da anni (forse da sempre) che il concetto di serietà viene associato a Boris Johnson.

 

Ma è davvero diventato serio Johnson? Il Regno Unito e l’Unione europea vorrebbero smettere di dedicarsi soltanto alle battaglie interne del Partito conservatore, che tanto hanno condizionato la politica degli ultimi tre anni ipotecando il negoziato sulla Brexit (e stiamo parlando di un partito che alle europee ha preso il 9 per cento dei voti). Ma al momento non c’è molto altro di cui parlare, perché sul fronte della Brexit continuano a esserci le resistenze che ci sono sempre state: Theresa May ha negoziato il miglior accordo possibile con l’Ue per chi vuole la Brexit, e il fatto che i conservatori non lo abbiano mai apprezzato non rende la loro ostilità un’alternativa fattibile.

 

Secondo i brexitologi, ci sono soltanto tre esiti possibili del processo in corso, ancor più se la scelta è tra Johnson e Hunt: il primo è che il Regno Unito esca dall’Ue con un accordo, e l’unico accordo disponibile scade il 31 ottobre; il secondo è che ci sia un’uscita senza accordo, che è l’ipotesi di default di tutto il negoziato – se non troviamo un patto, ognuno va per la sua strada senza patto – ed è quello che succederà se nel frattempo non accade nulla; una terza estensione di tempo. Le ultime due opzioni sono le più probabili, ma per avere un’altra estensione, dev’essere Londra a chiederla (c’è chi aspetta sul fiume che Johnson passi mentre va a Bruxelles implorando una proroga) e gli altri 27 devono essere d’accordo all’unanimità (già erano divisi nelle occasioni precedenti). Quindi, un’uscita senza accordo il 31 ottobre sembra oggi la più probabile, che è come dire che due premier e il logorio istituzionale non sono serviti a niente, tanto si esce come se il negoziato non ci fosse mai stato. A meno che non succeda qualcosa, un secondo referendum o un’altra elezione. Allora l’esito non sarebbe più del tutto prevedibile: certo, ci vorrebbe un’opposizione solida, un Labour anti Brexit, chissà se è possibile.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi