Un sostenitore fa un selfie con Jeremy Hunt durante un evento elettorale a Birmingham (Foto LaPresse)

Il Regno in mano a 160 mila persone. L'identikit del militante Tory

Gregorio Sorgi

Euroscettici, nostalgici, poco liberali. Ecco cosa pensano i conservatori che nomineranno il prossimo leader (e premier)

Roma. Gli uomini più potenti della Gran Bretagna oggi sono i 160 mila membri del Partito conservatore che entro il 22 luglio eleggeranno il prossimo leader dei Tory e primo ministro. L’ultima volta nel 2016 gli attivisti non arrivarono a votare perché Andrea Leadsom, volto di punta della campagna per il leave che i deputati euroscettici avevano scelto per sfidare Theresa May, si era tirata indietro avendo poche possibilità di vittoria. Oggi i rapporti di forza tra i due candidati sono altrettanto sbilanciati: Boris Johnson è il chiaro favorito contro Jeremy Hunt, il ministro degli Esteri sostenuto da una parte dei moderati conservatori, ai quali non resta che sperare in un passo falso del suo avversario. I militanti dei Tory tendono a essere più di destra rispetto all’elettore conservatore medio – sia sulla Brexit sia su altri temi di politica interna – e rappresentano una minoranza dell’opinione pubblica.

 

Gran parte degli iscritti viene dalla middle class – quasi quattro su dieci guadagnano più di 30 mila sterline l’anno, secondo una ricerca dei politologi Tim Bale e Paul Webb – e sono concentrati nelle storiche roccaforti dei Tory: il 60 per cento vive tra Londra e l’est, sudest e sudovest dell’Inghilterra. I membri conservatori sono piuttosto anziani – la media è 57 anni – ma tutto sommato in linea con gli altri partiti di massa in Inghilterra (la media del Labour è 53 anni, i Lib-dem 52). I grandi elettori dei Tory coniugano una politica economica ultra thatcheriana con una visione della società profondamente conservatrice, molto distante dal pensiero progressista di alcuni loro rappresentanti a Westminster. Oltre il 50 per cento dei militanti è favorevole alla pena di morte e il 42 per cento è d’accordo con la censura se serve a tutelare gli standard morali. Paradossalmente il 41 per cento è contrario alle legge sulle unioni civili realizzata da David Cameron, che loro stessi avevano eletto leader nel 2005. Su questi temi Boris Johnson la pensa diversamente: è un liberale, favorevole al matrimonio gay, alla legalizzazione della cannabis e alla libertà religiosa, malgrado le tante gaffe che ne hanno scalfito l’immagine pubblica.

  

I Tory diffidano delle teorie sul cambiamento climatico (per il 27 per cento c’è troppa attenzione sul tema), e non vedono di buon occhio la redistribuzione dai più ricchi ai più poveri. Non è un caso che la proposta inaugurale di Boris Johnson sia stata un taglio delle tasse per la middle class per compiacere la sua constituency. Ma l’argomento centrale di cui si parlerà negli incontri tra i due candidati e gli attivisti nel prossimo mese, e su cui c’è un’affinità elettiva tra Johnson e i militanti, è la Brexit. Il 65 per cento dei membri conservatori vuole uscire dall’Ue senza accordo, costi quel che costi. Secondo YouGov, il 61 per cento è disposto a subire dei “danni notevoli all’economia britannica” e il 63 per cento è pronto a concedere l’indipendenza alla Scozia pur di lasciare l’Ue senza compromessi. Boris Johnson è il candidato che più rappresenta questa visione ideologica e battagliera della Brexit. Jeremy Hunt invece è molto penalizzato sul tema: ha votato per il remain nel 2016, un peccato imperdonabile, e si è convertito alla causa dei brexiteers solo dopo – arrivò a paragonare l’Unione europea all’Unione sovietica per mettere in mostra le credenziali da euroscettico di ferro. Hunt è il candidato di punta dei moderati, mentre Boris attrae l’ala più estremista della base conservatrice. I suoi sostenitori hanno una posizione più radicale della media su ogni argomento, oltre la metà degli iscritti è arrivata dopo il referendum del 2016 e molti di loro potrebbero essere degli ex militanti dell’Ukip che hanno cambiato casacca. La scorsa estate Arron Banks, il finanziatore di Nigel Farage, aveva invitato gli elettori euroscettici a iscriversi tra i Tory per sfiduciare Theresa May e sostituirla con un brexiteer. E’ successo proprio questo, ma non ci sono prove che sia frutto del coinvolgimento di Banks.

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