Nigel Farage (al centro) e Richard Tice (alla sua sinistra) a un evento del gruppo euroscettico "Leave Means Leave" (Foto LaPresse)

Le donazioni non tracciabili su Paypal che fan volare il Brexit Party

Luciana Grosso

Nessuno ha verificato la provenienza dei fondi al partito di Nigel Farage. I sospetti di un legame con Mosca

Londra. Da dove arrivano i soldi che finanziano la faraonica, trionfale e rapidissima campagna elettorale di Nigel Farage? Da volonterosi antieuropeisti inglesi che fanno microdonazioni? O da facoltosi sponsor senza nome che pagano dall’estero, magari in rubli? La questione sta tenendo banco in questi ultimi giorni di campagna elettorale inglese per le elezioni europee (nel Regno Unito si vota dopodomani, giovedì) ed è, come tutto del resto, il lungo strascico della mai risolta disputa tra leave e remain del 2016. La questione è questa: il Brexit Party, la creatura fondata da Farage poco più di un mese fa ora in testa ai sondaggi (pare più del 30 per cento dei consensi) si finanzia con donazioni dei sostenitori. E fin qui tutto bene. Il problema però è che le donazioni al di sopra delle 500 sterline devono essere denunciate alla Commissione elettorale e tracciate, quelle al di sotto di 500 sterline, invece, avvengono via PayPal, in modo anonimo, difficilmente tracciabile e soprattutto ripetibile ad libitum. Cento donazioni da 500 sterline, fanno 50 mila sterline del tutto invisibili. Sta alla buona fede del partito segnalare ed eventualmente respingere le donazioni anomale, in arrivo dall’estero o multiple e, dunque, non ammesse dal sistema inglese.

  

 

A questo punto i problemi sono due. Il primo: sembra che (per ammissione dello stesso Farage) le donazioni in arrivo via PayPal siano moltissime, circa duemila al giorno; il secondo: della buona fede del Brexit Party non si fida nessuno. Una diffidenza dovuta al fatto che, in passato, la campagna per il leave ha dimostrato di apprezzare le donazioni estere (anzi, siamo chiari che si fa prima: russe) e, come dice lo stesso Brexit Party, nessuno si è preso la briga di verificare da dove arrivino quei fondi. Il presidente del partito Richard Tice ha dichiarato: “Abbiamo un conto PayPal per persone che pagano meno di 500 sterline, al di sopra di quello applichiamo le regole della Commissione elettorale. Quanto alla provenienza di quelle donazioni, non mi siedo tutto il giorno davanti al conto PayPal, quindi non so con quali valute le persone pagano”.

 

A rinfocolare i sospetti ci si sono messi i giornalisti del Mirror che il 16 maggio hanno fatto una prova: hanno versato a Brexit Party 25 sterline via PayPal e inserendo nel campo “nome” Vladimir Putin e come indirizzo “Palazzo del Cremlino, Mosca”. La donazione è andata a buon fine e nessuna segnalazione sembra sia ancora stata fatta. Solo indizi, niente prove, per ora. Ma quanto è bastato al Labour per provare a cavalcare la faccenda e provare a recuperare qualche voto. L’ex premier Gordon Brown, in genere piuttosto pacato, ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e, oltre a chiedere alla Commissione elettorale di avviare un’indagine sul “denaro sporco” del partito di Farage, ha parlato esplicitamente di minaccia alla democrazia inglese. “Nigel Farage – ha detto Brown durante un comizio a Glasgow – dice che questa elezione riguarda la democrazia. Ma questa è fatalmente minata se si usano i suoi strumenti legittimi per influenzare le elezioni. Ora Farage è a capo di un nuovo partito, che sta tenendo una condotta opaca sulla vera fonte del suo finanziamento in un momento in cui la Commissione elettorale ha avvertito dei pericoli di donazioni multiple, piccole e anonime come copertura per denaro sporco”. Parole pesanti, ma almeno per ora senza prove (trovarne è difficile, se non credete chiedete a Robert Mueller) ma che uniscono i puntini di un quadro complesso.

 

Primo puntino: l’opacità delle finanze personali di Farage che negli ultimi anni (secondo una ben documentata inchiesta di Channel 4) sembra aver goduto di uno stile di vita ben superiore a quello di europarlamentare, spesato da Arron Banks, finanziere legato a filo doppio sia a Mosca sia alla campagna di Leave.Uk. Secondo puntino: la presenza ufficiosa, tra i colonnelli del Brexit Party, di George Cottrell enfant prodige dell’antieuropeismo inglese: a soli 25 anni, Cottrel vanta nel suo curriculum di aver ricoperto un ruolo cruciale nella campagna di fundraising per il Leave, e soprattutto di aver scontato otto mesi di carcere negli Stati Uniti per 21 capi di imputazione, tra cui riciclaggio, frode telematica, ricatto, estorsione. Di nuovo libero, Cottrel è stato visto più volte dalle parti dei colonnelli di Brexit Party che però negano un suo qualsivoglia ruolo attivo. Terzo puntino: stando ai sondaggi, fino alla nascita del Brexit Party, il gruppo nel quale il partito dovrebbe sedere, l’antieuropeista Efdd, poteva contare sì e no su 20 deputati. Ora, secondo le stesse previsioni, sfiorerebbe i 50. Quanto basta per portare il caos nel già probabilmente confuso prossimo Parlamento europeo.

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