Le forze di Haftar conquistano l'aeroporto di Tripoli (foto LaPresse)

A Trump basterebbe un tweet per evitare la guerra civile in Libia

Daniele Raineri

Se Haftar ha attaccato Tripoli è perché ha percepito l’estrema debolezza della comunità internazionale. Ma il presidente americano potrebbe dare una svolta decisiva con un messaggio pubblico

New York. A questo punto, per quanto improbabile possa suonare questa richiesta, ci vorrebbe un tweet del presidente americano Donald Trump sulla Libia. Chiaro, sferzante e definitivo. La situazione attorno alla capitale Tripoli va verso lo scenario peggiore, quello di uno scontro prolungato tra due assortimenti di forze militari che sono quasi allo stesso livello. I gruppi che combattono per il generale Khalifa Haftar sono più forti, ma sono anche quelli più esposti perché vanno all’attacco e in questi giorni hanno la forma di colonne di veicoli ferme sulle strade e autostrade che portano verso la città. I gruppi che combattono per Fayez al Serraj sono meno forti, ma hanno un ruolo di difesa che permette loro di essere alla pari. Quando negli anni passati Haftar strappò alle fazioni islamiste Bengasi e Derna (una piccola città sulla costa, vicino Bengasi) aveva dalla sua parte il fattore vicinanza e il dominio assoluto in aria. Adesso la linea dei rifornimenti è lunga ed esposta agli attacchi nemici. Lunedì i suoi camion cercavano un qualche punto per approvvigionarsi di carburante in direzione della costa e una fonte locale dice al Foglio che mediatori di Haftar hanno tentato di acquistare ventimila litri di diesel a Zliten ma sono stati scoperti e hanno abbandonato i veicoli. Lo stesso vale per l’appoggio aereo, anche il governo di accordo nazionale di Serraj ha gli aerei e domenica li ha mandati a bombardare le piste della base di al Watiyah, da dove partono i jet di Haftar. Lunedì i piloti di Haftar per rispondere hanno bombardato l’aeroporto di Mitiga a Tripoli – l’unico funzionante perché quello internazionale era stato distrutto cinque anni fa in un’altra tornata di scontri – ma il dato è questo: se le milizie che stanno con Serraj si incaponiscono c’è la possibilità di una guerra a tempo indeterminato. 

 

  

A Bengasi andò avanti dall’ottobre 2014 fino alla fine del 2017 e fu una battaglia urbana così dura che quando gli uomini dello Stato islamico si unirono scopertamente alle forze anti Haftar quelle non fecero obiezioni, perché su tutto dominava la voglia di prevalere – o perlomeno di resistere (prima di tirare le somme troppo in fretta e di dire che Haftar è la sola speranza contro il terrorismo, c’è da ricordare che le milizie di Misurata che difendono Serraj sono quelle che tre anni fa hanno sradicato lo Stato islamico dalla loro capitale libica, Sirte). Giovedì il portavoce delle forze militari del generale Haftar aveva detto che Tripoli sarebbe caduta in quarantotto ore, ma questi tipi di affondi se non raggiungono lo scopo entro pochi giorni tendono a diventare guerre di posizione. Domenica un video mostrava le forze di Haftar sparare razzi a media gittata in direzione di Tripoli, che è una ricetta sicura per cominciare a fare vittime fra i civili.

 

Ci potrebbe essere una svolta, se qualche fazione che oggi sta con Serraj lo tradisse e passasse con Haftar, ma se ciò non avviene allora è il momento di un tweet di Trump sulla Libia. Due giorni fa il dipartimento di Stato americano ha diffuso un comunicato duro contro il generale, ma tutti sanno che nella catena di comando degli Stati Uniti non c’è nulla di definitivo finché il presidente non si pronuncia in pubblico. Dall’Afghanistan alla Siria, più volte generali e ambasciatori hanno tentato di parlare come se le loro parole fossero quelle della Casa Bianca, salvo poi essere sconfessati – a volte quasi in diretta. Per ora, le immagini che contano sono quelle delle imbarcazioni americane che evacuano il personale dell’ambasciata e forse anche un piccolo contingente militare da Tripoli, come a dire: noi lasciamo, vedetevela un po’ voi. Un tweet di Trump invece oggi avrebbe il potere di fermare la corsa verso la guerra civili dei libici. Avrebbe lo stesso effetto intimidatorio di un paio di jet americani che sorvolano le posizioni esposte dei miliziani di Haftar o di una portaerei fatta avvicinare verso la costa – entrambe misure prese in passato – senza nemmeno sprecare il carburante. Se Haftar ha attaccato Tripoli è perché ha percepito l’estrema debolezza e la malavoglia della comunità internazionale. Ma in questi due anni di mandato di Trump anche il generale libico dovrebbe avere appreso che il presidente americano pur di rimangiarsi un tweet è pronto a scelte paradossali. Su Twitter annunciò la rappresaglia contro i bombardamenti chimici del rais siriano Bashar el Assad, nel 2017 e nel 2018. Su Twitter annunciò lo shutdown del governo “per un lungo periodo di tempo” e poi in effetti fu lo shutdown più lungo della storia americana – Trump cedette soltanto quando le conseguenze rischiarono di diventare catastrofiche. Un suo tweet oggi sarebbe un gran deterrente contro la guerra civile e per riportare tutti a negoziare.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)