La premier britannica Theresa May col presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker (Foto LaPresse)

L'Ue inizia a pensare che la “no deal Brexit” sia meglio di allungare i tempi

David Carretta

Bruxelles continua a sperare che il Parlamento di Londra voti a favore dell'intesa. Altrimenti, avanza l'idea che un mancato accordo sia meglio della riapertura del negoziato

Bruxelles. Nell’Unione europea a 27 si sta lentamente ma saldamente installando l’idea che una “no deal Brexit”, con un’uscita caotica del Regno Unito il 29 marzo prossimo, sia meno peggio che riaprire i negoziati con il governo di Theresa May o prolungare l’incertezza con una proroga dell’articolo 50 del Trattato, che non garantirebbe un accordo o un passo indietro. “Certo, se il Regno Unito chiederà, cercheremo di essere di aiuto”, ma “più prolungheremo l’incertezza, peggio sarà per entrambe le parti. E in quel caso, è meglio porre fine a questo caos prima perfino con un mancato accordo”, ha detto Dalia Grybauskaitė, presidente della Lituania, parlando con Euronews a margine del World Economic Forum a Davos: “Più la tiriamo per le lunghe, peggio sarà”. Secondo Grybauskaitė, è giunto il momento di “prendere una decisione finale” sulla Brexit. Europa e Regno Unito hanno la possibilità di concludere rapidamente “accordi temporanei settoriali per risolvere alcuni problemi” di un’uscita disordinata. Grybauskaite è certa che, poco dopo la no deal Brexit”, Ue e Regno Unito si metteranno al lavoro per negoziare “un nuovo accordo” sulle relazioni future.

Quando parla Grybauskaite va sempre ascoltata per capire come vanno le cose nell’Ue. La presidente lituana è considerata una specie di oracolo dei Vertici europei, in grado di prevedere cosa uscirà dai negoziati anche nei momenti più drammatici come la Grexit, la crisi dei migranti o la Brexit. La realtà è meno esoterica. Non sempre ci azzecca, ma rappresentando un paese piccolo Grybauskaite può permettersi di parlare in modo franco: sulla Brexit le sue parole trovano conferma nella calma relativa che a Bruxelles, Francoforte e Strasburgo circonda l'ipotesi di un “no deal”.

 

Giovedì, nella conferenza stampa al termine della riunione del Consiglio dei governatori della Bce, Mario Draghi non ha dato segnali di allarme. “Sì è vero” che c’è “la catena del valore” e che alcuni paesi “sono più esposti”, ma “se si guarda ai numeri aggregati non sembra esserci un’ampia perturbazione” in vista per l’economia della zona euro. Draghi ha anche indicato dove l’Ue si è già mossa per evitare i guai maggiori di un “no deal”. “La Commissione è intervenuta con un pronunciamento che permette alle controparti centrali di compensazione del Regno Unito di continuare a servire i clienti dell’Ue per un certo periodo”, ha spiegato Draghi. La CCP Houses britanniche, che intermediano i titoli derivati della zona euro, potranno continuare a operare per 12 mesi grazie a una dichiarazione unilaterale di equivalenza da parte dell’Ue. Si tratta di uno degli accordi settoriali di cui parla Grybauskaite. La Commissione e il governo di Theresa May sono già al lavoro su altri, come un accordo per permettere agli aerei di continuare a volare sopra la Manica e ai treni di passarci sotto dal 30 marzo in poi.

Dentro l’Ue si continua ad auspicare un accordo e quello di Theresa May va benissimo, se il premier britannico riuscirà a farlo passare martedì ai Comuni. Nessuno minimizza le conseguenze sulla vita quotidiana di una “no deal Brexit”. L’Irlanda dovrà reintrodurre almeno per un po’ i controlli alle frontiere con il nord. Francia, Olanda e Belgio hanno assunto migliaia di funzionari delle dogane per far fronte al caos e alle code, a Calais come a Dover. Il Belgio ha avvertito i cittadini britannici che è meglio cambiare la patente prima del 29 marzo, se non si vuole correre il rischio di dover rifare l’esame. “Le perturbazioni saranno moltissime e alcuni paesi sono in ritardo nei preparativi per il no deal”, spiega al Foglio un tecnico comunitario che sta lavorando allo scenario del mancato accordo.

 

Ma l’Ue – che sta approntando “misure di contingenza unilaterali e limitate nel tempo” che “non riprodurranno i benefici della membership”, come ha detto il portavoce della Commissione Margaritis Schinas – ritiene che il “no deal” sia gestibile e meno complicato che prolungare per qualche mese l’articolo 50, magari facendo eleggere dei deputati britannici all’Europarlamento, senza sapere se poi da eventuali elezioni o un secondo referendum potrà uscire un risultato diverso. Anzi: “Il no deal può avere dei vantaggi”, spiega un diplomatico di un grande paese. Germania, Francia, Olanda, Belgio e Irlanda stanno facendo a gara per strapparsi le grandi multinazionali, le banche, le assicurazioni e le piccole imprese che si stanno trasferendo sul continente. “Non va dimenticato il fattore politico”, dice un parlamentare europeo, che preferisce rimanere anonimo: “Due mesi di caos provocato dalla Brexit potrebbero far riflettere i cittadini alle elezioni europee del 26 maggio”.

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