Un ritratto di Jeremy Corbyn e Theresa May (Foto LaPresse)

Gli altri rumori sinistri della Brexit

Redazione

Corbyn rifiuta le consultazioni della May. Il bluff della carta europeista

L’appuntamento per la prossima resa dei conti sulla Brexit è fissato per il 29 gennaio, quando il Parlamento inglese discuterà e voterà il piano B di Theresa May, che lei presenterà lunedì alla Camera dei Comuni. Che cosa cambierà da qui ad allora? La premier dice di non voler rinunciare alle proprie linee rosse – l’unione doganale – ma apre a consultazioni bipartisan, che i laburisti moderati accolgono ma che il leader del Labour, Jeremy Corbyn, rifiuta: prima ci devi dire che il “no deal” è escluso, poi vediamo se collaborare. Per costringere la May, Corbyn minaccia voti di sfiducia a catena, e pazienza se ha già perso il primo e se i lib-dem dicono che non lo sosterranno più: il leader del Labour non vuole dare una mano sulla Brexit, non vuole contribuire a un piano che può ottenere la maggioranza ai Comuni, perché questo significa avere un’idea di divorzio sostenibile che non ha e soprattutto tenere su la May, e di tutte le catastrofi di cui si parla oggi questa è per Corbyn l’unica davvero da evitare.

 

Ogni espediente è buono per sportellare via la May, tanto nell’ambiguità si sta così comodi che non viene più voglia di spostarsi: tiene aperta anche l’ipotesi del secondo referendum, Corbyn, perché buona parte della base del suo partito è europeista e in qualche modo va coccolata, tanto finzione per finzione ormai si è disposti a credere a tutto. Anche alcuni conservatori, stremati, si sono pronunciati a favore del secondo referendum e hanno organizzato un incontro per farsi vedere. Gli altri restano divisi tra chi crede che il Parlamento, con quello speaker-eroe dei media, John Bercow, e il suo “order” a scandire i lavori, abbia ripreso in mano il processo Brexit e possa condurlo verso una maggioranza e chi invece pensa che tra debolezza del governo e potere dei Comuni ci sia in corso un golpe democratico. Ma mentre nessuno osa più discutere davvero di democrazia, dei suoi limiti e dei suoi eccessi, aumentano le probabilità di una proroga dell’articolo 50, cioè di uno slittamento della data della Brexit oltre il 29 marzo: non resta che questo, discutere del tempo.

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