Germania, manifestazone dell'estrema destra a Chemnitz

Così i tabù tedeschi sull'immigrazione alimentano la xenofobia

Alberto Brambilla

Berlino dà la caccia al “leaker” colpevole di avere rivelato che un sospettato di accoltellamento è iracheno. Altro fallo di Merkel

Roma. La Germania ha lanciato un’indagine sulla fuga di notizie riguardo al mandato di arresto diretto a un iracheno sospettato di un caso di accoltellamento che sta provocando violente proteste contro gli immigrati.

 

Mercoledì il ministro dell’Interno, Horst Seehofer, ha detto che le autorità giudiziarie dovrebbero usare tutti i mezzi a disposizione per rispondere al “leak” sull’arresto del sospetto iracheno di 22 anni per l’accoltellamento fatale di un uomo tedesco di 35 anni nella città orientale di Chemnitz. Un secondo sospettato è un siriano di 23 anni. Entrambi non hanno ancora un avvocato e perciò è improbabile che la notizia provenga da loro. Un portavoce del procuratore di Dresda, incaricato dell’inchiesta, ha detto che la cerchia di coloro che hanno avuto accesso al documento non è piccola. Secondo Reuters, la diffusione notizia del mandato di arresto è un evento molto insolito che ha suscitato forti critiche in tutta la Germania. La Germania, dice Reuters, ha severe linee guida sulla privacy per i procedimenti giudiziari, e il caso solleva preoccupazioni su possibili legami tra la polizia e i partiti anti migranti.

 

Il governo tedesco si è dunque messo alla caccia, con ogni mezzo, di un “leaker”, probabilmente un agente, che avrebbe diffuso una notizia documentata circa l’identità di almeno uno dei due sospetti assassini, i quali sarebbero originari dei primi paesi di provenienza dei rifugiati in Germania, Iraq e Siria.

 

Chemnitz, dov’è avvenuto il crimine, è nella ex Germania est, cuore dei gruppi anti immigrati tra cui Pegida e Alternative für Deutschland (AfD) che ha ottenuto il 13 per cento dei voti nelle elezioni federali del 2017. Il governo di Angela Merkel, paladino della politica di accoglienza “a porte aperte” verso i rifugiati, è preoccupato per le proteste di gruppi e partiti di destra e, dopo una riunione di gabinetto, ha condannato le proteste definendo “completamente inaccettabile” il ricorso alla “giustizia privata” . E’ comprensibile che le autorità tedesche avrebbero preferito che la notizia non venisse divulgata e le linee guida sulla privacy fossero rispettate per evitare manifestazioni da parte di gruppi di estrema destra anche in vista delle elezioni di ottobre in Baviera, il land più ricco, dove Afd potrebbe avere un exploit a danno della Csu.

 

Il comportamento da biasimare è tuttavia quello del governo tedesco che ha preferito censurare le informazioni circa attività criminali e terroristiche da parte di cittadini immigrati anziché discutere del problema. Il 20 giugno dell’anno scorso il Corriere del Ticino pubblicò il contenuto di un documento di venti pagine con le linee guida della Bundeskriminalamt, la polizia criminale, sul modo di informare la popolazione in merito ad atti terroristici di matrice islamista. L’ordine ai funzionari era: “Per cominciare negare sempre tutto” e “mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica”. Il giornale svizzero definì “autentico” e “strettamente riservato” il documento riprodotto anche con una scansione in pagina. Una settimana dopo il giornale fu costretto a ritrattare dicendo che il dossier “non è autentico” e il redattore, sotto pseudonimo, era stato “raggirato”. L’articolo è scomparso dal web. Il Foglio l’aveva riportato nelle parti salienti tratte dal cartaceo. Fake news o real news l’autocensura esiste: basti ricordare che i media tedeschi tacquero all’indomani delle violenze da parte di circa 2.000 maschi di estrazione musulmana verso 1.200 donne la notte del Capodanno 2015 a Colonia.

 

Dopotutto la Germania ha un problema: la costruzione di tabù porta al fatto che gli estremisti di destra fanno propri i problemi dell’integrazione e li strumentalizzano a loro vantaggio mentre il governo Merkel continua a non capire che sopire ed evitare di discutere alimenta la xenofobia.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.