Foto LaPresse

Cosa hanno deciso Putin e Trump a Helsinki? Russi in vantaggio sugli americani

Daniele Raineri

Mosca parla di “accordi verbali importanti”, i generali americani per ora dicono “nulla cambia in Siria”. Scena muta al Pentagono

Roma. Nella gara a capire che cosa si sono detti il presidente americano Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin nel loro faccia a faccia di lunedì a Helsinki i russi paiono decisamente in vantaggio. Mercoledì la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha parlato come se i russi avessero già la piena padronanza della materia e ha detto che l’implementazione degli accordi presi al summit è cominciata. “Istruzioni significative sono state eseguite e i diplomatici sono al lavoro sui risultati”, ha detto. L’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov, ha annunciato ai giornalisti – sempre mercoledì – che ci sono stati “importanti accordi verbali” su una vasta gamma di argomenti e che Putin ha fatto “proposte specifiche e interessanti” su come i due paesi potrebbero cooperare in Siria. Martedì il portavoce della Difesa russa, il generale Igor Konashenkov, aveva detto che lo stato maggiore della Russia si preparava a intensificare i contatti con i colleghi americani proprio in vista della futura cooperazione.

 

Il problema è che gli americani non sanno ancora di quali accordi parlano i russi e fanno scena muta davanti ai giornalisti, com’è successo due giorni fa al Pentagono. Alla Casa Bianca la portavoce di Trump, Sarah Huckabee Sanders, ha fatto una lista dei temi toccati in Finlandia: “Aiuti umanitari in Siria, ambizioni nucleari dell’Iran, la sicurezza di Israele, la denuclearizzazione della Corea, l’Ucraina e l’occupazione della Crimea, la riduzione degli arsenali atomici di Russia e America e naturalmente il vostro argomento preferito, l’interferenza della Russia nelle nostre elezioni”, ma non ha offerto nulla di più specifico. E’ vero, scrive il Washington Post, che è normale nell’Amministrazione aspettare giorni prima che lo staff del presidente scriva e distribuisca i documenti interni che spiegano gli incontri ad alto livello ma è come se la parte americana fosse rimasta indietro.

 

Ieri Joseph Votel, il generale a capo del Centcom – la divisione del Pentagono che si occupa di quello che succede nel settore di mondo che va dall’Egitto all’Afghanistan –, ha tenuto un briefing ai giornalisti per dire che la linea sulla Siria “non è cambiata”. L’obiettivo è sempre fare la guerra allo Stato islamico e non è arrivato alcun ordine riguardo un’eventuale collaborazione con la Russia. Secondo Votel si procede seguendo le regole d’ingaggio tenute finora, che prevedono comunicazioni con i russi soltanto per garantire la cosiddetta deconfliction, quindi per evitare che durante le rispettive operazioni militari nello stesso teatro di guerra americani e russi possano pestarsi i piedi a vicenda. Votel ha fatto un riferimento esplicito al National Defense Authorization Act, una legge del 2014 che vieta alla Difesa americana di coordinarsi o di collaborare con i militari della Federazione russa (fu approvata dopo l’annessione della Crimea). Il generale si sente coperto dal fatto che ogni operazione congiunta con i russi dovrebbe essere approvata anche dal Congresso e non soltanto dal presidente Trump. Alcuni osservatori fanno notare però che la legge non è a prova di bomba e ci sono alcune scappatoie. Per esempio, vieta la “cooperazione bilaterale”, ma non quella “multilaterale” e quindi se americani e russi collaborassero in un quadro allargato sarebbe legale. Votel ha riconosciuto che le milizie curdo-arabe sponsorizzate dall’America – le cosiddette Sdf, sigla delle Forze siriane democratiche – hanno contatti sempre più frequenti con il governo del presidente Bashar el Assad (e in questi giorni hanno aperto uffici di rappresentanza nelle principali città controllate dal governo, da Homs a Latakia). “E’ una realtà”, ha detto il generale. Ancora non si sanno i dettagli, ma in Siria si va verso un accordo tra America e Russia che piacerà molto di più a Putin che ai generali americani.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)