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Le versioni di Trump sulla Russia

Il presidente si contraddice due volte sull’incontro con i russi. La strategia temuta dai suoi collaboratori

Cambridge, Massachusetts. Ancora una volta Donald Trump ha messo alla prova i limiti della “iperbole verosimile”, la sua figura retorica di riferimento, e si è lanciato in tweet che vanno in cortocircuito con le sue precedenti posizioni. Domenica è arrivata la revisione storica del famoso incontro combinato dal primogenito, Don Jr., durante la campagna elettorale con Natalia Veselnitskaya, avvocatessa russa legata a doppio filo con il Cremlino. La questione è riemersa perché l’ex avvocato di Trump, Michael Cohen, è in rivolta contro il suo capo e, forte dell’abitudine che aveva di registrare le conversazioni con Trump, fa sapere in giro che l’allora candidato sapeva di un incontro combinato per ottenere dai russi materiale su Hillary Clinton. Il presidente ha scritto: “Le Fake News dicono, ed è un’invenzione totale, che sono preoccupato dall’incontro che il mio meraviglioso figlio, Donald, ha avuto alla Trump Tower. Era un incontro per ottenere informazioni su un oppositore, completamente legale e fatto normalmente in politica, e non ha portato da nessuna parte. Non ne sapevo niente!”. La nuova presa di posizione trascina con sé una doppia contraddizione. Innanzitutto, il presidente ha cambiato versione sulla natura dell’incontro combinato dal figlio. Nella dichiarazione del 2017, dettata parola per parole dal presidente per conto del figlio quando il caso è esploso, si diceva che i partecipanti “hanno discusso principalmente un programma sulle adozioni di bambini russi che era attivo e molto richiesto dalle famiglie americane”. Ora Trump sostiene invece che il motore dell’incontro era la promessa di ricevere materiale su un oppositore politico.

  

In passato aveva lasciato intendere che la ragione dell’incontro era anche elettorale (“chiunque avrebbe accettato quell’incontro”, “si chiama ‘opposition research’”), ma ha sempre insistito sul fatto che il cuore della discussione fosse stato il programma di adozioni. Il presidente declassa il problema al rango di un generico “così fan tutti”, spiega che non c’è nulla da vedere e che il meeting convocato dal meraviglioso Don Jr. non ha portato ad alcun risultato, ma nel cambio di strategia si deduce una certa preoccupazione per tutto ciò che potrà arrivare (o è già arrivato) all’orecchio dello special counsel, Robert Mueller, che certamente sta valutando con attenzione maniacale quell’unico episodio accertato in cui un emissario informale del Cremlino ha incontrato l’inner circle di Trump. Cohen sta appunto negoziando con il procuratore speciale i termini della sua collaborazione con gli inquirenti.

  

Il secondo cortocircuito, questa volta logico più che fattuale, arriva in coda al tweet. Trump dice che non sapeva nulla dell’incontro, versione in contrasto con quella di Cohen e pure con quella di Steve Bannon, altro fuoriuscito dal cerchio magico, ma non si vede per quale ragione dovrebbe negare di essere stato al corrente di un evento perfettamente legale e politicamente normale. Il businessman che si picca di avere tutto sotto controllo e di negoziare personalmente, senza delegati né intermediari, gli affari più importanti, irritualmente fa vanto di non aver messo becco in un promettente meeting per ricevere “oppo research” su Hillary Clinton. Se non c’è nulla da vedere, perché negare? Dopo aver contraddetto se stesso sul motivo dell’incontro, perché rischiare di contraddire anche la versione di Cohen, il quale potrebbe avere prove a sostegno della sua tesi?

  

E’ per evitare che il presidente inciampi in questo genere di errori che il suo team di legali, capeggiato da Rudy Giuliani, cerca disperatamente di convincerlo a rifiutare un interrogatorio dal vivo con il team di Mueller, limitandosi invece a negoziare una serie di risposte scritte alle domande degli inquirenti. Il dialogo faccia a faccia lo esporrebbe alle contraddizioni che vengono alla luce ogni volta che parla con un leader straniero, incidenti che nemmeno la mediazione di Twitter sembra limitare. Come ha osservato Michael Barbaro del New York Times: “ Una delle cose più strane della presidenza a ruota libera su Twitter è che Trump abitualmente ammette o dimostra cose, per iscritto, che per altri presidente richiederebbero testimonianze ufficiali ottenute a carissimo prezzo”. Nel rispetto della routine, Trump ha scartato il problema e ha rilanciato facendo sponda con Dan Bongino, uno degli opinionisti di Fox che preferisce: “La collusione con la Russia è reale. Hillary e il suo team erano collusi al 100 per cento con i russi”.

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