Donald Trump e Vladimir Putin (foto LaPresse)

Non servono complotti per spiegare la subordinazione di Trump a Putin

Il caso di Maria Butina è molto serio, ma gli avversari del presidente americano non sono riusciti a trattenersi dall’esagerare

Nel fantasioso e pericoloso mondo di Donald Trump la devastante figura rimediata con Vladimir Putin a Helsinki si risolve con il retrospettivo cambio di un would in un wouldn’t e la rassicurazione che “molte persone ai vertici dell’intelligence hanno apprezzato la conferenza stampa”, anche se poi non si capisce esattamente chi siano costoro, visto che pure la direzione dell’intelligence nazionale ha fatto una dichiarazione ufficiale di segno opposto.

 

In ogni caso, Trump rimane fedele alla sua incoerenza, inventa spiegazioni improbabili che contraddicono ogni evidenza e nel prossimo ciclo di notizie si appellerà a nuovi complotti, a nuove esagerazioni e a nuovi lapsus per cambiare ancora una volta versione dei fatti. Il metodo iperbolico ed estremamente rischioso di Trump finora ha funzionato – il che significa: non è stato al momento disarcionato dalle conclusioni definitive di un’inchiesta e la sua base non gli ha voltato le spalle – e la prova della sua efficacia è che anche gli avversari sono sempre tentati di utilizzarlo a loro volta.

 

Prendiamo il caso di Maria Butina. La 29enne russa è stata arrestata con l’accusa di cospirazione e di aver agito come agente russo nelle sue attività alquanto sospette che l’hanno portata a intessere relazioni con importanti gruppi della galassia repubblicana. Coperta dalle apparenze di studentessa e ricercatrice interessata al mondo dei conservatori americani, Butina si muoveva disinvolta dalla convention della Nra alla National Prayer Breakfast. I documenti dell’Fbi dicono che offriva sesso in cambio di influenza, un intramontabile classico della letteratura spionistica.

 

Il caso è molto serio, ma gli avversari del presidente non sono riusciti a trattenersi dall’esagerare. E’ spuntata una foto della delegazione che fa visita alla Casa Bianca e in fondo alla schiera capeggiata da Sergei Lavrov, proprio sulla soglia dello Studio Ovale, s’affacciano i capelli rossi di quella che molti critici di Trump hanno preso per Butina. Nemmeno nelle stagioni più spericolate di Homeland la giovane spia rampante s’arrischia a presentarsi con una delegazione diplomatica, e infatti la presunta Butina è in realtà Cari Lutkins, funzionario del consiglio per la sicurezza nazionale. I capelli rossi sono bastati a scambiare un funzionario americano per una spia russa. Non è che un segno della delirante confusione in cui Trump ha trascinato tutti, avversari compresi, e che a Helsinki ha raggiunto livelli inusitati. Ross Douthat sul New York Times ha tracciato a mente fredda i tre grandi scenari per spiegare il rapporto di Trump con la Russia. Il più accreditato, a suo dire, non è quelli per cui il presidente è stato reclutato, mediante ricatto, negli anni Ottanta dal Cremlino, ma quello in cui Trump, più semplicemente, si limita a essere se stesso.

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