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Se POTUS conferma le bufale russe

Daniele Raineri

Trump cerca di rimangiarsi quello che detto alla conferenza di Helsinki. La propaganda putiniana adesso ha un alleato "better than super" 

Roma. La conferenza stampa di Trump e Putin a Helsinki è stata molto importante per molte ragioni, una in particolare è che il presidente americano ha legittimato il modo russo di raccontare quello che succede nel mondo. Non importa se poi succede, come è accaduto ieri, che Trump cerca di rimangiarsi quello che ha detto al cospetto del presidente russo e di cambiare il senso delle parole che ha pronunciato, come se qualcuno gli avesse spiegato le conseguenze delle sue dichiarazioni. Per esempio, ora accetta le conclusioni dell’intelligence americana sulle interferenze russe (che ci sono state) e tenta di dire che intendeva “non c’è ragione perché non sia stata la Russia a interferire con le elezioni americane”. 

    

 

A Helsinki, in realtà ha detto che “non c’è ragione per dire che sia stata la Russia”, come ha capito tutto il mondo collegato in diretta. Dicevamo: la conferenza stampa insieme con il capo del Cremlino è stata importante perché Trump ha legittimato il modo russo di raccontare quello che succede nel mondo. Come si sa, da anni ormai Mosca investe molte risorse e molto tempo nella propaganda di stato per dare una versione dei fatti sempre molto conveniente, anche se fraudolenta: la Russia non ha mai colpe e la responsabilità per le brutture che accadono è sempre dei suoi nemici. Il governo di Putin ha detto di non sapere nulla degli uomini in divisa verde che hanno occupato la Crimea nel marzo 2014 prima dell’annessione (salvo poi ammettere che erano forze speciali russe, in seguito furono premiate con medaglie), di non sapere nulla di un intervento militare russo in Siria (nell’agosto 2015, i bombardamenti russi in Siria cominciarono due settimane dopo), di non essere responsabile dell’abbattimento di un aereo passeggeri in Ucraina nel luglio 2014 (la commissione d’inchiesta creata dal governo olandese ha incolpato ufficialmente la Russia lo scorso maggio), di non sapere nulla del tentato omicidio di un dirigente dell’intelligence russa scappato in Gran Bretagna dopo la diserzione (il New York Times ha tre fonti dei servizi inglesi e americani che accusano l’intelligence militare russa), di non sapere nulla delle operazioni per entrare nei computer del Partito democratico (il procuratore speciale Robert Mueller cinque giorni fa ha incriminato dodici agenti dell’intelligence militare russa) e si può continuare.

  

Questo ombrello della propaganda difende spesso anche gli alleati: la Russia sostiene che gli attacchi con armi chimiche in Siria o non sono veri (la commissione d’inchiesta dell’Opcw però ha confermato gli attacchi chimici e ha detto che le sostanze usate erano uguali a quelle dell’arsenale chimico siriano, sta ancora lavorando sull’ultimo attacco con il cloro a Douma), oppure che sono stati inscenati da governi occidentali. Di fatto la Russia per schermare il lato oscuro della propria politica estera produce una cortina permanente di fake news, che spesso sono accolte in occidente da una folla adorante. A furia di fake news, è nato un fake world: un mondo alternativo – in cui Hillary Clinton ha creato lo Stato islamico e Angela Merkel si è fatta un selfie con uno stragista di Bruxelles (sono entrambe notizie false, nel caso foste abitanti del fake world) – in cui molti sguazzano felici senza più ricordare cosa c’è fuori.

  

 

Se questo è il contesto, da anni ormai, allora il presidente americano dovrebbe guidare le operazioni a ciclo continuo per smontare la propaganda che viene da est, nell’interesse dell’America e dei suoi alleati in Europa. Dovrebbe guidare le incursioni nel fake world. Dovrebbe mettere in luce le contraddizioni e fare da fonte autorevole, considerato che il budget che il governo americano fornisce alle sue agenzie per farsi i fatti degli altri e raccogliere informazioni genuine è il più alto della storia dell’umanità. E invece a un certo punto della conferenza stampa di Helsinki assieme a Putin un giornalista ha chiesto al presidente americano: “Do you hold Russia at all accountable for anything in particular?”. C’è una cosa in particolare di cui ritiene la Russia responsabile, almeno una? Lui ha risposto: “We are all to blame”, possiamo essere tutti accusati di qualcosa. In pratica ha risposto: no. Siamo tutti sullo stesso piano, non c’è vero o falso. Si capisce perché molti media americani il giorno dopo hanno descritto l’incontro come una “capitolazione” davanti a Putin e anche perché c’era molta soddisfazione da parte della Russia, tanto che il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto che l’incontro è stato “magnifico”: “Better than super”.

  

E invece con un meccanismo classico di rovesciamento ieri Trump, dopo essersi rifiutato di contestare le fake news russe, ha attaccato i media americani perché hanno raccontato male l’incontro con Putin, che è andato persino meglio di quello già ottimo – secondo lui – con la Nato. “The Fake News is going Crazy!”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)