Maria Butina (foto LaPresse)

Così i repubblicani americani si sono fatti incantare da una russa

Daniele Raineri

L’Fbi vuole capire fin dove è arrivata Maria Butina nella sua scalata al partito

New York. Il processo appena cominciato a Maria Butina, una trentenne russa accusata di essere un agente del governo di Mosca, suona anche come il segnale di quanto il deterioramento interno del Partito repubblicano americano sia in fase avanzata, forse così grave da essere irrecuperabile. Butina ha ammesso in tribunale di essere colpevole. La sua non era una missione d’intelligence, era piuttosto un piano a lungo termine di proselitismo politico per farsi molti amici nella politica americana e nelle lobby e alla fine diventare una voce ascoltata, che al momento giusto avrebbe propiziato gli incontri opportuni e suggerito le mosse politiche più amichevoli – prima fra tutte la fine delle sanzioni americane contro la Russia. Fin dal 2015, come mostrano alcuni file sequestrati dagli agenti dell’Fbi, Butina aveva individuato nella Nra, la National Rifle Association, la porta d’ingresso per accedere al Partito repubblicano e da lì, un giorno, stabilire un canale di comunicazione con il governo russo. L’ascesa di Trump alle primarie e in campagna elettorale aveva reso questo piano, che Butina chiamava “il mio progetto diplomatico”, ancora più interessante. Dalla Nra ai repubblicani e dai repubblicani al prossimo presidente degli Stati Uniti. Butina aveva come punto di riferimento non i servizi segreti russi ma il politico russo Alexandr Torshin, ex presidente del Consiglio federale (la Camera alta del Parlamento russo) e attuale vicegovernatore della Banca centrale di Russia. E in America aveva come punto di riferimento il suo fidanzato, Paul Erickson, 56 anni, un veterano della politica americana che nel 1992 era stato il capo della campagna elettorale di Newt Gingrich e che a Washington è ammanicato con tutti. 

 

Gingrich, peraltro, è in questi giorni preso in considerazione come possibile nuovo capo dello staff di Donald Trump, quindi per uno dei ruoli più potenti della Casa Bianca. Se l’indagine dell’Fbi – che per inciso è indipendente da quella del procuratore speciale Robert Mueller, ha seguito un altro filone – non avesse scoperto Butina oggi ci sarebbe un nuovo filo teso fra Trump e la Russia (come se non bastassero già quelli che sono saltati fuori).

 

Paul Erickson è stato il perno delle operazioni di Butina, le ha dato accesso a figure influenti, ha garantito per lei, ha contribuito a organizzare incontri e viaggi. A settembre ha ricevuto una lettera da parte degli inquirenti che lo avvisava della sua posizione precaria. Anche per lui l’accusa è di avere lavorato come agente di un governo straniero. Secondo gli esperti, la lettera è uno strumento di pressione per convincere Erickson a prendere un avvocato che gli consiglierà di fare la sola cosa intelligente: collaborare per ottenere uno sconto di pena. I procuratori che si occupano del caso vogliono sapere fin dove è riuscita ad arrivare Butina nella sua scalata al Partito repubblicano e se possiede informazioni che possono in qualche modo essere compromettenti a proposito di qualche pezzo grosso del partito. In pratica: i russi possono ricattare qualche politico repubblicano?

 

E pensare che fino alla candidatura di Mitt Romney – che aveva identificato la Russia come la minaccia più urgente, fra i frizzi e i lazzi dei critici che lo consideravano un dinosauro rimasto alla Guerra fredda – contro il democratico Obama i repubblicani erano rimasti, per vocazione e tradizione patriottica, i più diffidenti verso la Russia. Potevano essere criticati in molti campi, ma che ci fosse una certa integrità e solidità in faccia alle influenze straniere, e figuriamoci da parte della Russia erede dell’Unione sovietica nemico storico per decenni, non era in dubbio. E invece adesso tocca questa penosa operazione di contenimento del danno. Chi era in contatto con Butina e che cosa le ha detto?

 

Per lei la missione finisce male, il fatto che abbia deciso di collaborare non deve avere fatto una buona impressione a Mosca. Tre giorni fa il presidente russo, Vladimir Putin, ha detto di non sapere chi fosse Maria Butina e che quando ha chiesto ai suoi capi dei servizi segreti quelli hanno scosso il capo: “Non sappiamo chi sia”. E’ un disconoscimento che assomiglia a un avvertimento, non ci sarà uno scambio di prigionieri com’è accaduto in passato quando gli americani hanno scoperto e arrestato spie russe.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)