Tutte le falle del piano anti-fake news dell'Ue

Luca Gambardella

La Commissione annuncia un codice di condotta per i social network per difendersi dalla campagna di disinformazione russa. Ma i dubbi sulla sua legittimità e sulla sua efficacia sono parecchi

La Commissione europea ha deciso di adottare un codice di condotta che inaugura la guerra dell'Ue alle fake news e a cui dovrebbero attenersi tutte le piattaforme online e i social network. Il vicepresidente della Commissione, Andrés Ansip, e il redivivo commissario per la Sicurezza dell'Ue, Julian King (qui trovate un suo ritratto), hanno annunciato stamattina il piano d'azione dell'Europa: entro luglio sarà pronto il documento della Commissione, che però non sarà vincolante né per gli stati membri né per i giganti tech. Poi, entro dicembre, i vari attori coinvolti tireranno le somme su quanto è stato fatto e sui problemi riscontrati nell'applicazione del piano. Se i risultati non saranno soddisfacenti, ha detto Ansip, la Commissione prenderà in considerazione l'idea di proporre un atto legislativo vincolante.

 

L'iniziativa di Bruxelles, per il momento, resta parallela a quelle già adottate dai singoli stati membri – Germania, Francia e Italia su tutti – e intende cautelare l'Unione in vista delle elezioni per il Parlamento europeo del 2019, dalle quali dipenderà indirettamente anche il voto del nuovo presidente della Commissione Ue. Il nemico, anche se non è stato espressamente menzionato né in conferenza stampa né nella nota stampa, è la Russia con le sue campagne di disinformazione. In realtà, ha ammesso Ansip, l'idea di mettere nero su bianco che è Mosca a essere al centro della strategia anti-fake news dell'Ue era emersa in seno alla Commissione, ma poi si è preferito evitare. Che il dibattito sulle fake news del Cremlino sia acceso in seno al Berlaymont lo dimostra il fatto che solo pochi giorni fa la commissaria Ue alla Giustizia, Věra Jourová, aveva ammesso che in tema di leggi elettorali – e quindi sul rischio che il voto sia influenzato da paesi terzi – "l'Ue ha competenze molto deboli". Le stesse elezioni europee non sono gestite da Bruxelles ma dai singoli stati membri e tra gli uffici delle istituzioni Ue c'è perplessità sulla legittimità di iniziative prese a nome di tutti i 27 stati membri, come quella presentata oggi. Una valutazione che potrebbe diventare ancora più evidente se davvero, come annunciato oggi, si dovesse passare all'adozione di un regolamento specifico – e vincolante – entro la fine dell'anno.

 

Ma le contraddizioni e le perplessità riguardano anche il contenuto e le metodologie di fondo del codice di condotta anti fake news. Si parte dal principio che l'Ue non si fida dei giganti del web. Dopo lo scandalo Cambridge Analytica, Facebook ha provato a rassicurare tutti sperimentando un fact checking delle notizie condivise sul social network, rendendo meno visibili i contenuti di chi posta contenuti con notizie false e promettendo una maggiore informazione ai lettori su cosa stanno leggendo. Non basta, secondo la nota stampa diffusa oggi dalla Commissione: "Ci sono seri dubbi sul fatto che le piattaforme stiano proteggendo in modo sufficiente gli utenti contro l'uso non autorizzato dei loro dati personali da parte di parti terze, come dimostrato dal caso recente di Facebook e Cambridge Analytica". Così, entro luglio le piattaforme online dovranno "sviluppare e seguire un codice di condotta comune" cooperando con Bruxelles nell'autoimporsi delle norme di comportamento. Se non lo faranno sarà peggio per loro, ha fatto capire Ansip, perché "la fiducia sul web è facile da distruggere ma è difficile da ricostruire".

 

Ci si chiede poi se l'adozione di una legge anti-fake news sia legittima ed efficace. La difficoltà principale è garantire la libertà di espressione, assicurando allo stesso tempo l'attendibilità delle notizie che leggiamo su internet. In Italia, il "bottone rosso" pensato dal ministro dell'Interno Marco Minniti per permettere agli utenti di segnalare notizie false su internet ha suscitato molte critiche. Lo stesso è successo in Francia quando il presidente Emmanuel Macron ha proposto una legge sulle fake news. La discriminante tra cosa è e cosa non è da considerare una fake news resta il grande equivoco di fondo, con cui peraltro le istituzioni europee hanno già avuto a che fare rimettendoci in termini di credibilità. E' successo con l'East Stratcom Task Force, un gruppo di lavoro ad hoc e creato dall'Ue per studiare il fenomeno della disinformazione. Istituito subito dopo il Consiglio europeo del marzo 2015, lo Stratcom è composto su base volontaria da 14 persone (di cui solo tre lavorano a tempo pieno) per catalogare e segnalare tutti i casi di notizie false pubblicate su internet allo scopo di influenzare gli utenti. Appena un anno dopo, il team aveva già segnalato 3.800 articoli che, a loro giudizio, costituiscono materiale di propaganda filo-russa. Lo scorso marzo, tre siti olandesi inclusi nella black list pubblicata sul sito della task force (euvsdisinfo.eu) hanno protestato contro le modalità usate dal team e l'hanno denunciato per diffamazione. Tutti e tre i giornali online hanno accusato il team di avere bollato come filo-russi alcuni loro servizi giornalistici solo perché riportavano versioni controcorrente rispetto a quelle predominanti in Europa, in particolare criticando il governo ucraino. In uno di questi casi, quello del sito di informazione Post Online, si accusava di fascismo il governo ucraino. Solo che il pezzo, pubblicato in lingua olandese, era un riassunto di un intervento pubblico tenuto da un altro giornalista e non esprimeva le opinioni del Post. Inoltre, a bollare l'articolo come materiale di propaganda del Cremlino erano stati tre componenti della task force, nessuno dei quali parlava olandese. Il caso si è chiuso con un voto del Parlamento di Amsterdam, che ha chiesto la chiusura nel paese di euvsdisinfo.eu, e con le scuse formali della task force. Alla fine i tre siti sono stati rimossi dalla lista ma per loro il danno di immagine è stato notevole. Una brutta figura per l'Ue, che però sembra non sia bastata. Così, all'ultimo Consiglio dei ministri degli Esteri dello scorso 16 aprile, si è deciso di versare un altro milione e mezzo di dollari per finanziare lo Stratcom.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.