Un'immagine satellitare dell'obiettivo colpito dai jet israeliani in territorio siriano

Così Israele ha impedito il caos nucleare in medio oriente

Giulio Meotti

Iraq, Siria, Isis e Iran. Come sarebbe la regione più violenta e turbolenta del mondo senza gli strike militari di Gerusalemme

Roma. La notte del 5 settembre 2007 otto fra F-15 e F-16 israeliani partirono dalle basi di Hatzerim e Ramon per un volo fino a Deir El Ezzor, 450 chilometri dentro la Siria. Si stavano preparando da settimane a raggiungere una simile distanza, ma non sapevano ancora cosa avrebbero dovuto colpire. Quella sera arrivò l’ordine di distruggere un reattore nucleare della Siria, costruito con l’aiuto nordcoreano e di cui fino a poco tempo prima l’intelligence di Gerusalemme ignorava l’esistenza. Si temeva una débacle simile a quella che aveva preceduto la guerra dello Yom Kippur. Ma Israele riuscì “in una delle più straordinarie operazioni in 70 anni della sua esistenza”, come l’ha definita ieri Nahum Barnea su Yedioth Ahronoth.

 

Per la seconda volta, Israele aveva eliminato una minaccia esistenziale. In un comunicato diffuso dall’esercito israeliano ieri si legge: “Il messaggio dell’attacco al reattore nucleare nel 2007 è che lo stato di Israele non permetterà che vengano sviluppate capacità che possano minacciare la stessa esistenza di Israele”. Ma Israele aveva anche cancellato una terribile fonte di caos in medio oriente. Da anni, su parte della stampa, in molti circoli diplomatici e pensatoi di politica estera, si è soliti definire Israele una “fonte di instabilità” in medio oriente (un sondaggio commissionato dalla Ue nel 2003 bollò lo stato ebraico come “principale minaccia alla pace nel mondo”, prima anche della Corea del nord). Israele si è in realtà rivelato la principale fonte di stabilità e sicurezza nella regione più caotica e violenta del mondo.

 

Cosa sarebbe successo in Siria, dove il regime di Assad nel 2014 non ha esitato a usare le armi chimiche, se Damasco avesse ottenuto anche la bomba atomica? Israele ha colpito il reattore a Deir el Ezzor, un’area a lungo nelle mani dello Stato islamico. E se il plutonio fosse finito all’Isis? Israele potrebbe aver sventato un Califfato nuclearizzato (dopo l’11 settembre al Qaida aveva piani di attacco con le “bombe sporche”).

 

Nel 1981, Israele bombardò il reattore nucleare di Saddam Hussein a Osirak. Era l’“Operazione Opera” decisa da Menachem Begin e contro il parere degli americani. Sembrava che quella di Baghdad dovesse essere la prima “bomba dell’islam”. L’Iraq, potenza emergente del Golfo e nello scacchiere turbolento del medio oriente, era considerato da Gerusalemme come la minaccia potenziale più pericolosa per la sua sicurezza (moriranno misteriosamente anche molti scienziati, egiziani e occidentali, che lavoravano al programma di Saddam). Saddam non aveva già esitato a usare le armi chimiche contro i curdi iracheni e i soldati iraniani. Cosa sarebbe successo se Israele non avesse bombardato Osirak e nelle guerre del 1991 e del 2003 l’Iraq avesse avuto la bomba atomica? Il vicepresidente americano Dick Cheney ringrazierà gli israeliani per aver facilitato il lavoro di Desert Storm. Ma c’è un terzo paese a cui Israele finora ha impedito di sviluppare tecnologia nucleare: l’Iran. E’ dal 1995 che si parla dell’atomica di Teheran e senza le pressioni politiche, militari e clandestine di Israele, oggi gli iraniani molto probabilmente ce l’avrebbero.

 

E’ Israele che è riuscito a far imporre sanzioni all’Iran da parte della comunità internazionale, è Israele che da anni minaccia gli iraniani di uno strike (ci si andò vicini nel 2012) e si parla della mano israeliana dietro alle numerose uccisioni di scienziati atomici iraniani e al sabotaggio delle sue centrali (virus informatici come Stuxnet, esplosioni). In un medio oriente già pesantemente iranizzato, cosa sarebbe successo oggi se Teheran avesse anche l’atomica? Israele, piccolo come uno stato del Golfo, è grande perché ha in mano la sicurezza e la stabilità del medio oriente.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.