Paul Mason

L'uscita del Regno Unito è un'occasione per rifondare l'Unione Europea. Intervista a Paul Mason

Daniele Lettig

Una “clean Brexit” è un’illusione e i cittadini se ne stanno accorgendo, dice il saggista vicino a Jeremy Corbyn

Milano. Il governo britannico “sta perdendo il confronto con l’Unione europea sulla Brexit, ma anche la sua autorità morale nei confronti di un popolo a cui ha mentito”: è l’analisi decisa di Paul Mason, giornalista, regista e saggista, considerato uno degli intellettuali di riferimento – non senza un occhio critico – del partito laburista guidato da Jeremy Corbyn (qui il suo commento alle ultime dichiarazioni del leader del Labour sulla Brexit e su una possibile unione doganale ndr). Invitato a Milano per un dibattito alla Fondazione Feltrinelli, Mason dice al Foglio che i conservatori guidati da Theresa May “hanno raccontato alle persone che una ‘clean Brexit’ ci avrebbe consentito di fare accordi con il resto del mondo, i quali avrebbero favorito l’intera economia”.

 

 

Con l’avanzare delle laboriose trattative, invece, “si stanno accorgendo che questo è un obiettivo irrealizzabile, perché il commercio ha sempre una dimensione multilaterale. E contemporaneamente i cittadini cominciano a rendersi conto che l’economia sta peggiorando, e che si va verso una ‘hard Brexit’”: le cui conseguenze colpiranno i più deboli. “La questione è capire a chi verrà data la colpa. E sono sicuro che il governo la getterà sull’Europa”.

 

Ma sulla gestione della Brexit, anche la posizione del Labour rimane per certi versi poco chiara: “Va ricordato che i laburisti non hanno nessun ruolo nei negoziati”, dice Mason, “ma in sostanza l’idea del partito è che con l’Europa gli scambi devono rimanere liberi e anzi essere rafforzati. Se nell’accordo questo punto non sarà rispettato, il Labour non lo voterà”. Il problema, però, è che “ci sono abbastanza conservatori pronti ad approvare una ‘hard Brexit’: i laburisti sono pronti a far cadere il governo – o almeno provarci – per evitare questo esito”.

 

Se poi davvero si trovasse a dover sedere al tavolo dei negoziati, il partito di Corbyn “si impegnerebbe a restare nel mercato unico con un accordo simile a quello tra UE e Norvegia, cercando il modo migliore per tutelare i tre milioni di europei che vivono nel regno. A un patto: ottenere una dispensa speciale in materia di controllo dell’immigrazione e del mercato del lavoro, perché non c’è dubbio che la prima causa della vittoria del ‘leave’ sia stata il rifiuto della libera circolazione dei lavoratori”.

 

“La Gran Bretagna” ragiona Mason, “ha sempre avuto una relazione particolare con l’Europa, e ha sempre opposto resistenza a quell’integrazione più stretta che è al cuore del progetto comunitario. Per questo la vera questione del referendum avrebbe dovuto essere: ‘Che forma deve prendere la nostra semi-membership’?”. Però, “non essere rimasti nell’UE sarà stato un risultato sfortunato ma buono, se Brexit diventerà la scossa che costringe l’Europa a ripensare se stessa”.

 

Il compito di iniziare questo processo, secondo il giornalista, spetta a una sinistra “finalmente consapevole che il neoliberismo – a cui per vent’anni tutti, da Blair a Renzi, si sono accodati – non può più funzionare”. L’alternativa è quella che Mason definisce “socialdemocrazia radicale”, “un’“opzione sei” per il futuro dell’Unione, diversa dagli scenari disegnati un anno fa dal capo della Commissione Jean-Claude Juncker: “un’Europa che si basa sulla giustizia sociale, un insieme di paesi dove i salari riprendano a crescere, il welfare sia efficiente e inclusivo, e in cui le libertà democratiche e lo stato di diritto siano garantiti a tutti i cittadini, non messi in discussione come avviene oggi in Polonia o Ungheria”.

 

Il progetto tracciato da Mason non punta a “rompere l’Unione e ritornare ai nazionalismi: questo è ciò che vuole fare la destra autoritaria, che si è affermata in molti paesi proponendo un’alleanza tra le élite e alcune parti del popolo attorno sulla base di un nazionalismo neoliberista”. Vista da sinistra, la via è un’altra: “stracciare il trattato di Lisbona per ripartire su basi nuove, fuori dalle logiche da rodeo del liberismo”. Idea che accomuna la visione di Mason a quella dell’ex ministro greco Yanis Varoufakis e a quella – caratterizzata da un sovrappiù di nazionalismo – del leader della Francia “non-sottomessa Jean-Luc Mélenchon, e che nell’attuale contesto europeo sembra però poco più di una speranza: cosa di cui Mason sembra consapevole. Tuttavia, conclude, “io credo che sia possibile, a patto di coinvolgere il popolo e di usare l’immaginazione. Se la sinistra non è in grado di immaginare un trattato che oltrepassi quello di Lisbona, lascerà il destino futuro del capitalismo liberale in mano ai neofascisti e gli anti-europei, che dimostrano di avere ben chiara l’immagine del mondo che vogliono”.