Nigel Farage a New York, colloqui alla Trump Tower (foto laPresse)

Un dubbio tutto inglese: non è che poi Trump ci frega davvero?

Paola Peduzzi

Mentre la May si crogiola in una calma apparente, l’Ukip si sta rubando il piatto della Brexit. Assieme ai trumpiani

Milano. Theresa May sta sempre sulle sue, si muove con quella cautela che abbiamo imparato ad apprezzare con la cancelliera di Berlino, pur con qualche remora. Si discute molto nel gabinetto del premier inglese, ci si confronta, si litiga anche parecchio, sembra dai racconti che escono sui giornali, e si aspetta che la Corte suprema decida dei poteri istituzionali sulla Brexit e che i tempi del processo inizino ad assomigliare a quelli annunciati dall’Unione europea. Ma mentre la May si crogiola in una calma (sicuramente) apparente, l’Ukip si sta rubando il piatto della Brexit. Quel che è peggio: lo sta facendo assieme agli americani, anzi, ai trumpiani.

Ora, stabilire che cosa voglia fare il presidente eletto Donald Trump è affare invero complicato e stancante, molti analisi britannici, che hanno già la May da decifrare, sono già prossimi alla rinuncia: chi vivrà vedrà, dicono alcuni, con le previsioni siamo comunque negati. Ma i segnali che arrivano – o che vengono enfatizzati – rivelano un’alleanza sempre più stretta con l’Ukip, che potrebbe non risultare particolarmente vantaggiosa per il governo di Londra (e per i destini della Brexit). Di Nigel Farage, ex mattatore degli indipendentisti, si sa: è orgogliosissimo di essere l’unico leader europeo ad avere già una “special relationship” con Trump, ancora due giorni fa ha mostrato immagini nuove del loro incontro americano, tutto oro e sorrisi e promesse di alleanze – Farage aspira a un ruolo nell’Amministrazione Trump. Nonostante l’enfasi, si tratta comunque di un rapporto che potrebbe non avere grandissime ripercussioni su quello, ancora da costruire, tra May e Trump – i due si vedranno subitissimo nel prossimo anno.

Ci sono due fatti però che lasciano pensare che il piatto della Brexit stia scivolando dal tavolo apparecchiato dalla May. Ieri l’attuale leader dell’Ukip, Paul Nuttall, che guarda aggressivo agli elettori laburisti per portarli dalla propria parte, ha celebrato questo 2016 che finalmente ha mostrato quanto il popolo sia più forte delle élite: l’asse tra la Brexit e Trump è per Nuttall il trampolino verso la riscossa popolare dell’interesse nazionale e della chiusura agli immigrati. Dal punto di vista ideologico, il commento non fa una piega, ma diventa un pochino più complicato – e preoccupante per i Tory al governo – quando si inizia a parlare di business. Come si sa, l’Ukip è custode di una formula protezionista al limite dell’autarchia che rifiuta il mercato unico europeo principalmente per l’immigrazione ma anche per la circolazione dei beni, che secondo gli indipendentisti penalizza il made in Britain. Le dichiarazioni di Trump sui dazi alle merci importate, cinesi in particolare ma in generale straniere, suonano dolcissime alle orecchie di Nuttall e dei suoi, ma sono invece pericolose per la May, che comunque continua a ribadire l’ispirazione liberale del suo progetto. Anzi, proprio su questo vorrebbe avvicinarsi a Trump: il sogno del premier inglese è iniziare il prima possibile a siglare accordi commerciali bilaterali che possano entrare in vigore nel momento in cui si concretizza il divorzio con l’Ue. Le regole europee vietano tale alternativa, ma alla May sarebbe sufficiente la parola del presidente eletto per poter incassare una sicurezza invero dirimente.

Ma Trump è aperto a questo ipotesi? Vallo a capire, dicono i commentatori britannici. Che se nei primi momenti riponevano una buona fiducia in Trump ora sono in allerta: il neonominato ministro al Commercio americano, Wilbur Ross, ha detto a una conferenza che è il momento giusto per approfittare dell’indecisione di Londra “e prendersi tutto il business inglese”. Per la May, non ci potrebbe essere una dichiarazione più catastrofica. Certo, bisogna imparare a fare la tara alle parole dei trumpiani (l’abbiamo detto che è un lavoro faticoso, sì?), ma intanto agli inglesi il dubbio è venuto: non è che poi Trump ci frega davvero?

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi