Hillary Clinton (foto LaPresse)

L'America forse ha bisogno di una stronza

Annalena Benini
“Hillary Clinton ha incarnato, per più di vent’anni di politica americana, quella che potremmo definire la Classica Stronza”. Un’intrusa che sfida e minaccia la mascolinità, senza cuore e cinica come un maschio qualunque, ma soprattutto una donna che “accetta di essere antipatica e va avanti lo stesso”.

La stronza di cui l’America ha bisogno, ha titolato pochi giorni fa il New York Times nelle pagine delle opinioni, difendendo Hillary Clinton e capovolgendo, in positivo, l’idea stessa di “bitchiness”, quel modo di farsi largo nel mondo e di perseguire un obiettivo senza chiedere scusa che attorno a una donna crea un movimento di sospetto e antipatia. “Trump that bitch”, sta scritto sulle magliette vendute su Amazon, utili a mostrare disprezzo per Hillary Clinton e la sua corsa alla Casa Bianca. Troppo forte, troppo ambiziosa, troppo emotiva, troppo poco emotiva, “Hillary Clinton ha incarnato, per più di vent’anni di politica americana, quella che potremmo definire la Classica Stronza”. Un’intrusa che sfida e minaccia la mascolinità, senza cuore e cinica come un maschio qualunque, ma soprattutto una donna che “accetta di essere antipatica  e va avanti lo stesso”. Quando si dice: quello stronzo, c’è sempre un po’ di ammirazione, o il ricordo di un cuore spezzato, un sospiro di approvazione.

 

Per una donna, al contrario, che sia first lady, senatore, segretario di stato, candidata alla presidenza degli Stati Uniti che cerca di farsi passare una polmonite senza mettersi a letto, c’è il ghigno pronto, l’opzione dispregiativa. Ma, secondo il Nyt, Hillary ha trasformato questo epiteto, questo tentativo di degradazione e di offesa, in un’onorificenza, e anzi è lei la stronza di cui l’America ha bisogno per eliminare il doppio standard che ha sempre afflitto le donne nel sistema politico americano. Forse non solo americano. Ma i lettori del New York Times hanno contestato quella parola, “bitch”, non avrebbero voluto leggerla nelle pagine del loro giornale, non si sono divertiti alla provocazione, non hanno pensato che era giusto ribaltare il significato di una parola normalmente usata per offendere. Il saggio era fortemente femminista e fortemente pro Clinton, ma il public editor ieri ha chiesto scusa per “una parola di cui non c’era bisogno”.

 

Ci sono già le magliette, a insultare Hillary, ci sono alcuni battaglieri sostenitori di Trump, a definirla così, c’è un intero mondo di cene a casa e invettive davanti alla televisione, e c’è stato, come racconta il saggio del New York Times, qualcuno che a un dibattito pubblico ha chiesto al senatore John McCain, nel 2007, “come battiamo quella stronza?”. Era Hillary Clinton, e McCain ha risposto: “Eccellente domanda”. Così adesso c’è anche un grosso titolo del New York Times, e la parola è sempre applicata a Hillary Clinton, sembra una specie di destino.

 


Hillary Clinton (foto LaPresse)


 

Una lettrice ha scritto per protestare: “So che il pezzo è solo un’opinione, ma rappresenta comunque un nuovo livello nell’eccitazione del giornalismo, come se fosse stato scritto da un bambino che ha appena avuto il permesso di usare le parolacce. E’ un disservizio all’idea di bene pubblico, travestito da femminismo, che in realtà non offre nulla, ma aumenta i tweet per le forze anti Clinton”. L’opinion editor ha spiegato che il titolo rappresentava il contenuto del saggio, e naturalmente serviva a focalizzare l’attenzione, a provocare, a ribaltare un punto di vista. Le cattive ragazze che vanno dappertutto, non è diventato una specie di slogan? E non è vero che esiste da sempre un doppio standard anche per questa “stronzaggine”? Il tentativo era proprio quello di scardinare l’idea che una donna forte, ambiziosa, che ha preso la rincorsa e non si è mai fermata, che insegue e gestisce il potere e preferisce non sorridere piuttosto che sorridere a vuoto, e che non ha come primo obiettivo nella vita essere simpatica a tutti, sia una stronza. Come un uomo, più di un uomo.

 

Ma questa parola, ha riflettuto ieri il Nyt, è comunque umiliante e offensiva. Una parola è una parola è una parola, e scrivere: stronza, di una donna che lavora da vent’anni per diventare presidente degli Stati Uniti è almeno scandaloso. “Può darsi che riferirsi alla prima candidata presidenziale donna come alla stronza giusta per il lavoro che l’aspetta porti un’aria di legittimità alla parola, ma solo oltre il punto in cui siamo in questo momento. Forse un giorno il mainstream applicherà questo termine alle donne che si battono per se stesse e contro gli stereotipi femminili. Fino ad allora, questa parola resta un insulto, degradante e misogino”. Fino ad allora, non si possono trasformare gli insulti in complimenti, né stampare parolacce. O almeno bisogna lasciare tutto come prima: essere stronzi, con fierezza, è una fortuna che spetta soltanto agli uomini.

  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.