Il segretario di stato americano John Kerry (foto LaPresse)

Cambi di strategia

Cosa ha convinto Washington a collaborare con Mosca in Siria

Redazione
Kerry a colloquio con i russi. Secondo i rumors, c’è un piano per blitz congiunti contro al Nusra e lo Stato islamico

Milano. “Cosa ha cambiato il corso della guerra? La Russia”. Il dittatore siriano Bashar el Assad non ha esitazioni a rispondere alla domanda dell’intervistatore della Nbc, proprio mentre John Kerry vola a Mosca per la terza volta dall’inizio dell’anno, nel tentativo di negoziare con Vladimir Putin il piano che porterebbe russi e americani in Siria dai lati opposti della barricata a coordinare un fronte bellico comune. C’è aria di svolta intorno alla interminabile guerra siriana, Assad appare molto più sicuro delle sue sorti, nell’intervista non esclude che il conflitto possa concludersi in pochi mesi – e nega che i russi avessero mai provato a convincerlo a lasciare la carica, come richiesto dagli americani, dai turchi, dai sauditi e da quasi tutte le cancellerie occidentali: “I russi non fanno le alleanze sugli scambi, le fanno sui valori”.

 

Per certo i russi, fin dal loro intervento nel paese mediorientale nel settembre 2015, sono impegnati a cercare pragmaticamente un’influenza da barattare poi con gli americani, per uscire dall’accerchiamento post Crimea. Così, da che sembravano schierati sul lato perdente, dopo nemmeno un anno ritengono di poter dettare le condizioni. Assad sembra destinato a durare, e il piano di collaborazione che Kerry porta a Mosca consiste – secondo le indiscrezioni rivelate nei giorni scorsi dal Washington Post – in un centro di coordinamento russo-americano dei raid aerei contro il fronte al Nusra e lo Stato islamico. In cambio, i russi dovrebbero convincere i siriani a tenere a terra la loro aviazione, che bombarda i centri abitati facendo vittime civili. Il segretario di stato non ha confermato né smentito che il contenuto della proposta che porta a Putin sia proprio questo. Il progetto appare sgradito al Pentagono e all’intelligence americana. Non solo perché si tratterebbe di fatto di riconoscere a Putin e ai suoi generali il ruolo di partner che stanno cercando dall’inizio dell’operazione militare russa a sostegno di Damasco. Ma anche perché non si fidano: la tregua negoziata dai russi e dagli americani a febbraio è stata ampiamente violata, non soltanto dai jihadisti; pochi giorni fa, per dire, i russi hanno colpito due campi di ribelli siriani “moderati”, addestrati e armati dagli americani.

 

Gli screzi tra Washington e Mosca non mancano anche in altri campi, dalle “persecuzioni” della polizia russa contro i diplomatici americani in Russia, denunciate qualche giorno fa da Kerry, al sostegno di Barack Obama e all’invio di quattromila uomini di battaglioni di pronto intervento nell’est Europa al summit della Nato. Il via libera a bombardare al Nusra, una costola di al Qaida, significa un colpo alla forza militare più capace del fronte dell’opposizione ad Assad, alla quale in qualche modo fanno capo anche molti gruppi di ribelli “moderati”. Ribelli che Mosca ha già invitato a lasciare le zone controllate dai jihadisti, “nel caso contrario verranno considerati complici”. Anche Ankara ha implicitamente accettato questa condizione, dopo aver sostenuto a lungo i ribelli islamisti, nell’ambito della pacificazione tra Recep Tayyip Erdogan e Putin. E questo significa, tra le altre cose, che le chance di Assad di restare aumentano, mentre diminuiscono quelle di un accordo di pace per una transizione tra le varie fazioni siriane. In ogni caso, gli americani si rendono conto che quella con i russi sarebbe comunque un’alleanza tra avversari, e il generale americano Sean MacFarland ha detto ai giornalisti a Baghdad che sarebbe “un po’ restio a condividere troppe informazioni con i russi”. Intanto però la progressiva escalation americana, avviata anche per non contenere l’intervento russo, dà alcuni frutti. Ieri fonti dello Stato islamico hanno ammesso che Omar al Sishani, islamista ceceno che comandava le difese di Mosul, è stato ucciso. Il Pentagono aveva già annunciato la sua morte a marzo, ma stavolta sono stati i siti legati all’Isis a confermare.

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