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Golpe giudiziario in Brasile

Eugenio Cau
Così il paese sudamericano diventa il paradiso del contro potere della magistratura. L’impeachment a Dilma e il dopo

Roma. I magistrati impegnati nell’inchiesta Lava Jato, la gigantesca tangentopoli brasiliana che sta falcidiando la classe politica e imprenditoriale, sono stati, si sa, alla scuola del pool di Milano. In particolare Sérgio Moro, il giudice rockstar che ha architettato a colpi di intercettazioni trafugate e avvisi di garanzia perfettamente sincronizzati le azioni più dure contro la classe politica, ha studiato vita e opere di Antonio Di Pietro – il quale, a sua volta, nelle ultime settimane ha ritrovato un piccolo spazio di celebrità sui giornali brasiliani. Ma dopo il voto con cui domenica la Camera bassa del Parlamento di Brasilia ha dato un colpo forse mortale al governo di Dilma Rousseff autorizzando la richiesta di impeachment nei confronti della presidente, si può dire che l’allievo ha superato il maestro. Con 367 voti (ben più dei 342 necessari per avere l’appoggio dei due terzi dell’Aula) il Parlamento brasiliano ha votato l’impeachment per Dilma, accusata di aver gonfiato i bilanci dello stato con trasferimenti temporanei di denaro dalle banche pubbliche poco prima delle ultime elezioni. Adesso la mozione d’impeachment passerà al Senato, dove sarà sufficiente una maggioranza semplice per dare il via al processo di rimozione della presidente, che nell’attesa sarà sospesa dall’incarico per 180 giorni. Da mesi il Brasile vive una tangentopoli all’ennesima potenza, e il voto di domenica, se l’impeachment andrà in porto, segna il momento di passaggio dall’inchiesta tentacolare al golpe giudiziario. Ormai i magistrati brasiliani non hanno più nulla da imparare, e anzi, per quanto riguarda l’uso politicizzato della giustizia, dovrebbero essere loro a portare a lezione i loro colleghi italiani. Immaginate il quadro. A colpi di inchieste, la classe politica brasiliana è stata falcidiata e messa in ginocchio.

 

Con cadenza quasi quotidiana e scelta sapiente dei dettagli, i giornali brasiliani sono pieni di intercettazioni selezionate ad arte contro questo o quel nemico della magistratura. Nelle piazze, le manifestazioni minano la credibilità della classe politica, e non è solo il livello di popolarità di Dilma, un tempo vicino al 90 per cento, a essere crollato sotto al 10, ma anche quello dei suoi oppositori, mentre i magistrati sono osannati come salvatori della patria. Lontano dalle piazze, nei Palazzi di Brasilia, gli eletti ancora godono dell’immunità parlamentare, ma sono terrorizzati dall’avanzare delle inchieste. Secondo il País, circa il 60 per cento dei parlamentari che domenica ha votato nella seduta dell’impeachment ha dei carichi pendenti con la giustizia. Più di 150 deputati, inoltre, hanno un’inchiesta penale aperta a loro nome. Il Parlamento di Brasilia è ormai un fortino assediato dai procedimenti giudiziari. I magistrati, che pure hanno raggiunto con un avviso di garanzia il padre politico del Partito dei lavoratori al governo, Luiz Inácio Lula da Silva, e che hanno provocato la caduta di alcune delle figure più importanti del gabinetto della presidente, non sono tuttavia riusciti a colpire direttamente Dilma. Ma il golpe giudiziario è riuscito a compiersi lo stesso, perché dove non sono arrivate le inchieste è arrivato l’impeachment, promosso da quegli stessi deputati che adesso vorrebbero un governo più assertivo contro la magistratura. Il problema è che i giudici tengono per il bavero anche chi verrà dopo Dilma. Il vicepresidente Michel Temer, del partito centrista Pmdb, che potrebbe assumere la carica di presidente qualora Dilma fosse sospesa e decadesse, è citato in alcune intercettazioni per riciclaggio di denaro e dovrà essere messo sotto impeachment per le stesse ragioni di Dilma: così ha sentenziato la Corte suprema. Il terzo in linea di successione, il presidente della Camera Eduardo Cunha, del Pmdb, è sotto inchiesta dall’anno scorso per aver trasferito in Svizzera 40 milioni di dollari di presunte tangenti.

 

Il Brasile sta vivendo la più grave crisi politica, morale ed economica della sua storia democratica. Una classe politica un tempo faro della sinistra mondiale si è dimostrata inefficace e corrotta, e sta trascinando il paese nel baratro. Quest’anno il pil dovrebbe crollare a meno 3,5 per cento, e alla notizia dell’impeachment la Borsa ha esultato. Ma il vuoto lasciato dal crollo del socialismo populista brasiliano è stato riempito da un tentativo di palingenesi giudiziaria altrettanto, se non più, dannoso del malgoverno di Dilma. E’ una tentazione, quella della rivoluzione per via giudiziaria, che abbiamo avuto ben viva anche in Italia. Ai brasiliani è riuscita meglio, i nostalgici nostrani prendano nota.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.