Una squadra speciale della polizia belga

Tra omertà e delinquenza. Così Salah ha trovato rifugio nel cuore dell'Europa

Luca Gambardella
A Molenbeek, dove l'attentatore di Parigi ha usato una rete di protezioni che gli ha permesso di sfuggire alla polizia per mesi. Ma i residenti negano di averlo mai visto. E rifiutano qualunque accusa di radicalizzazione della comunità islamica

Bruxelles. “E’ un giorno di festa. Non solo per noi di Molenbeek, ma anche per tutta la comunità musulmana, per Bruxelles, per il Belgio e per l’intera Unione Europea”. Ahmed Alabi, un residente, indossa abiti tradizionali e parla senza remore, quasi invogliando i giornalisti che lo circondano a fargli altre domande. A qualche metro, due poliziotti piantonano l’ingresso del palazzo di rue de Quatre-Vents 79 di Molenbeek, dove ieri le forze speciali hanno catturato Salah Abdeslam, il ricercato numero 1 d’Europa e uno degli attentatori di Parigi, insieme ad altri tre complici. “Guardate, non lo so, non so perché non lo abbiano preso prima. Non so se qualcuno che sapeva non ha parlato. Quello che so è che sono molto contento che lo abbiano preso, tutti qui lo siamo”, continua Alabi.

 


L'appartamento di Rue de Quatre-Vents, dove è stato arrestato ieri Salah


 

Ad incastrare Salah sono state le impronte digitali ritrovate dagli inquirenti sul vetro di una finestra dell’appartamento di Forest, dove martedì scorso la polizia aveva fatto irruzione. Secondo alcune fonti investigative, a insospettire sarebbe stata anche l’ordinazione di alcune pizze da asporto, da recapitare in un appartamento ufficialmente disabitato, proprio quello di rue de Quatre-Vent. Ad abitare quelle camere erano almeno in quattro: oltre a Salah, la squadra speciale ha arrestato anche Amin Choukri, compagno di fuga di Abdeslam, e due donne, Sian e Djamila Aberkan. Il figlio di quest’ultima, Abid, è stato arrestato stamattina a Jutte e nei suoi confronti è stato emesso un mandato d’arresto con l’accusa di favoreggiamento. I tre componenti della famiglia Aberkan, dunque, hanno coperto Salah nella sua latitanza mettendogli a disposizione l’appartamento di rue de Quatre-Vent. Secondo gli inquirenti, Abid rientrava nel giro di amicizie strette di Salah e di coloro che ne hanno coperto la fuga finora. Alcune foto pubblicate oggi sui giornali lo mostrano mentre porta sulle spalle la bara di Mohamed Belkaid, il 36enne algerino ucciso dalla polizia nel corso del raid di martedì a Forest. Una rete di omertà che, per la polzia belga è ancora più ampia di quanto scoperto finora e ieri il procuratore generale ha sottolineato da subito che le “indagini sugli attentati di Parigi non sono ancora terminate”. Abdeslam è riuscito in questi quattro mesi di fuga a cambiare almeno tre covi diversi, tutti a Bruxelles, tra i Comuni di Schaerbeek e Molenbeek, prima di finire la sua corsa a pochi metri di distanza dalla casa della sua famiglia.

 


Ahmed Alabi, un residente di  Molenbeek


 

La polizia e il governo celebrano il giorno del riscatto del Belgio, dopo mesi di critiche per gli insuccessi conseguiti finora nelle indagini sulla strage di Parigi. “We got him”, ha twittato il ministro per l’Immigrazione belga a pochi minuti dalla notizia dell’arresto. E anche il primo ministro Charles Michel, in una conferenza stampa congiunta con il presidente francese  François Hollande, ha elogiato ieri “’efficiente collaborazione con la polizia francese”. Eppure, solo il mese scorso il dipartimento antiterrorismo di Parigi aveva invece fortemente criticato le contromisure adottate dai colleghi belgi e, sempre oggi, si è scoperto anche che l’abitazione dove Salah è stato arrestato era di proprietà del Comune. Elementi preoccupanti che lasciano emergere nuove lacune nel sistema amministrativo della città. “Salah qui lo conoscevano tutti. Non ha mai frequentato una moschea, anzi. Da lui ho comprato un po’ di marijuana qualche anno fa. Era un bulletto, un criminale comune, aveva una sua banda con cui andava in giro a spacciare droga”, dice Jean, un residente di Molenbeek. I legami tra l’attentatore di Parigi e la criminalità locale sono ormai innegabili e su questo indagano ora gli inquirenti. I due fuggitivi del raid di Forest di martedì scorso, da dove era passato anche Salah come dimostrano le tracce di Dna, hanno precedenti penali importanti. Oltre a Khalid el Bakraoui, già condannato per furto d’auto, il fratello Ibrahim el Bakraoui nel 2010 aprì il fuoco con un kalashnikov contro una volante della polizia. Le indagini proseguono e gli inquirenti sperano ora di trarre informazioni utili da Salah sulla pianificazione degli attentati di Parigi. “E’ considerato l’anello debole del commando”, dicono funzionari dei servizi di sicurezza belgi alla stampa nazionale. Oggi però Salah non ha voluto rispondere agli inquirenti che lo interrogavano per convalidare l’arresto e il suo legale ha fatto sapere che rifiuterà la richiesta di estradizione in Francia. A Molenbeek intanto, gran parte dei residenti continua a negare di aver mai conosciuto Salah e sostiene che il quartiere è estraneo alla radicalizzazione. “Dobbiamo estirpare questi microbi. E la nostra vita proseguirà normalmente”, dicono. Microbi che però la rete di omertà rischia di alimentare.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.