Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha parlato alla Nazione dallo Studio ovale (LaPresse)

Obama sceglie il set delle grandi occasioni, ma non dice niente di nuovo sulla guerra al terrorismo

L’unica novità è che con sei anni di ritardo ha ammesso che il massacro di Fort Hood era un atto di terrorismo

New York. Barack Obama non ama i discorsi alla nazione dallo studio ovale. Prima di ieri sera aveva scelto la più grave delle ambientazioni presidenziali soltanto in due occasioni, l’incidente che ha portato alla perdita di petrolio nel golfo del Messico nell’estate del 2010 e il ritiro delle truppe dall’Iraq qualche mese più tardi. Scegliere la domenica per una comunicazione del genere era un ulteriore indizio della gravità della circostanza. Soltanto l’uccisione di Osama Bin Laden era stata comunicata di domenica. Farlo in piedi, da un podio, invece che seduto com’è consuetudine del presidente in questi casi è questione estetica e di retorica non verbale, ma è apparso come un altro motivo anomalo, segno che il presidente aveva qualcosa di clamoroso da dire intorno all’ “atto di terrorismo concepito per uccidere innocenti” di San Bernardino, in California, e in generale alla guerra allo Stato islamico. Nulla di tutto questo. Il presidente ha tentato di rassicurare il popolo americano, ma senza offrire novità strategiche, politiche o esecutive: “Dopo così tanta guerra, molti americani si chiedono se siamo di fronte a un cancro che non ha una cura immediata”, ha detto Obama. “La minaccia del terrorismo è reale, ma la supereremo”. Benché la minaccia terroristica sia entrata in una “nuova fase”, come Obama suggerisce di superarla si sa: antiterrorismo, lavoro di coalizione, essere “strong and smart”, alcune leggi per combattere più efficacemente il nemico e niente dispiegamento di truppe di terra, che è “quello che vuole lo Stato islamico”. Nessun tradimento dei “nostri valori” è giustificabile in questo sforzo bellico: “La libertà è più forte della paura”.

 

Com’era prevedibile, il presidente ha parlato della necessità di rendere “più difficile uccidere” per le persone “motivate dallo Stato islamico o da qualunque altra odiosa ideologia”, votando leggi per ridurre la diffusione delle armi da fuoco. Non ha però presentato un ordine esecutivo specifico, come qualcuno si aspettava, a partire dal New York Times, che sabato ha portato sulla prima pagina del giornale un risoluto editoriale sul tema, cosa che non aveva fatto nemmeno per denunciare l’ascesa di Hitler. In attesa di una legge comprensiva, ha detto Obama, il Congresso dovrebbe intanto impedire a tutti quelli che compaiono in no-fly list di acquistare armi da fuoco. Non ha detto però che in quelle liste, compilate con procedimenti e criteri oscuri, ci sono 280 mila nomi, e da un’inchiesta di alcuni anni fa del New York Times risultava che almeno 71 mila nomi erano lì per errore. Le cronache sono piene di cause intentate da persone finite nella lista per errore. Anche 72 agenti del dipartimento della sicurezza nazionale sono su una watchlist antiterrorismo. Ma gli attentatori di San Bernardino non erano in una no-fly list. Non lo erano nemmeno quelli della maratona di Boston né quello di Chattanooga.

 

[**Video_box_2**]A conti fatti, l’unica novità nel discorso di Obama dallo studio ovale è che con sei anni di ritardo ha ufficialmente ammesso che il massacro di Fort Hood, in Texas, era un atto di terrorismo, non una strage legata a motivi di lavoro. Il maggiore Nidal Hasan aveva ucciso tredici persone nella base militare gridando “Allahu akbar”, si era radicalizzato studiano i sermoni di Anwar al Awlaki e sul biglietto da visita si indeitificava come “soldato di Allah”.