Una riunione dell'Assemblea della Nato

Isis, Corano, guerra. Un documento Nato contro il pol. corr della guerra al terrorismo

Claudio Cerasa
Anche l'Alleanza atlantica riconosce finalmente che la religione c’entra eccome nella guerra combattuta dallo Stato Islamico

Com’era la storia del terrorismo islamico che non c’entra nulla con il Corano? Com’era la storia del reclutamento dei jihadisti che c’entra più con la povertà che con l’ideologia islamista? Com’era la storia che bombardare Raqqa è solo un’operazione spot? La notizia è gustosa, porta una firma pesante che è quella della Nato e vale la pena mettere in fila i tasselli per capire come si può bombardare la dittatura del politicamente corretto applicato alla guerra al terrorismo. E’ successo questo. Ieri a Firenze il gruppo speciale Mediterraneo e medio oriente della Nato ha votato un documento non banale in cui il terrorismo viene aggettivato, in cui il sedicente Stato Islamico viene inquadrato come una realtà territoriale che somiglia sempre di più a “una sorta di attore di tipo statuale” a tutti gli effetti, e in cui, soprattutto, viene spiegato in modo chiaro che il vero collante del Daesh è un mix così composto: “riferimenti a idee radicali e figure note all’interno di una certa tradizione Islamico salafita”; “una visione estremamente rigida di ciò che viene considerato il ‘vero credo’ e il ‘vero Islam’”; “un controllo sui territori iracheni e siriani che avviene da parte dello stato islamico applicando la propria interpretazione della Shari‘a”.

 

La religione, dunque, c’entra eccome nella guerra combattuta dallo Stato Islamico e anche la tesi di chi sostiene che sia scorretto parlare di terrorismo “islamista” per il semplice fatto che le vittime del terrore sono spesso uomini e donne di fede islamica viene smontata dal rapporto con due passaggi definitivi. Quelli che lo Stato Islamico considera “i veri musulmani sono obbligati a lottare contro ogni interpretazione deviata delle fonti islamiche, come pure contro altre religioni e ideologie, al fine di costituire una società islamica pura, all’interno di un’area di supremazia islamico sunnita… La lotta dell’organizzazione non è diretta esclusivamente contro l’Occidente, ma anche, all’interno del mondo islamico, contro gli sciiti ed altre comunità musulmane non sunnite e contro i sunniti che si rifiutano di aderire alla causa”. Il rapporto, curato dal presidente della delegazione italiana presso la Nato Andrea Manciulli, fa poi un altro passo in avanti e ammette che la spinta ad aggregarsi alle truppe dell’Isis non ha nulla a che fare molto con povertà e disagio sociale ma ha a che fare con il fatto che oggi, con lo Stato islamico, “qualsiasi musulmano sunnita nel mondo, sentendosi oppresso o infelice per la propria condizione sociale e politica, ha ora la possibilità di aderire ad uno ‘Stato’ in cui – secondo Daesh – sarebbe possibile vivere una ‘vita islamica pura’. E per molti combattenti che si sono offerti volontariamente di aderire a questo cosiddetto Califfato, la prospettiva di essere in grado di difendere l’esistenza di uno ‘Stato’ islamico ha avuto un ruolo cruciale nel determinare la loro motivazione”.

 

[**Video_box_2**]Nonostante la Nato abbia dato un contributo forte nel promuovere un’azione finalizzata al semplice contenimento dell’Isis, il documento, seppure a denti stretti, riconosce che la proliferazione del fondamentalismo non è avvenuto come reazione a un’azione dell’occidente ma è avvenuto facendo perno anche sul non intervento dell’occidente in Siria. “Fu l’evoluzione della guerra civile siriana nel 2012 che ha costituito il turning point dell’organizzazione fornendo il terreno ideale per la sua espansione e il rafforzamento”. E’ anche per questo che oggi, leggiamo ancora dal rapporto, siamo non in un semplice conflitto ma in “una vera e propria guerra ibrida”. Ed è anche per questo, infine, che intensificare l’attività militare contro la capitale dello Stato Islamico, Raqqa, non è una reazione emotiva ma è strategica, perché “Raqqa incarna il tipo di Stato che il Califfato intende esportare al di fuori della sua effettiva area di operazioni”. Il testo è chiaro, è persino in italiano, e non resta che sperare che a Palazzo Chigi qualcuno prenda appunti per rottamare il politicamente corretto sulla guerra allo Stato Islamico

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.