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“Così Israele prepara l'azione militare contro l'Iran”

Giulio Meotti
Nel 2013, quando Israele sembrava pronto a lanciare un attacco militare preventivo contro le installazioni atomiche dell’Iran, fu l’ex premier Ehud Olmert a rivelare quanto l’establishment militare aveva investito per preparare lo strike. Dieci miliardi di shekel. Tre miliardi di dollari.

Roma. Nel 2013, quando Israele sembrava pronto a lanciare un attacco militare preventivo contro le installazioni atomiche dell’Iran, fu l’ex premier Ehud Olmert a rivelare quanto l’establishment militare aveva investito per preparare lo strike. Dieci miliardi di shekel. Tre miliardi di dollari. Olmert lo rivelò per indebolire il già allora primo ministro Benjamin Netanyahu. Sono passati due anni e quella cifra adesso vedrà un forte incremento dopo la firma dell’accordo atomico fra America e Iran. Il capo di stato maggiore, Gadi Eizenkot, ha messo il suo vice, Yair Golan, a capo di una squadra che deve preparare un piano di attacco militare da utilizzare contro l’Iran. Un mese fa, cento piloti israeliani si sono addestrati in voli a lungo raggio sulla Grecia. E Israele avrebbe chiesto alla Lockheed-Martin, che produce gli F-35, di aumentare del trenta per cento l’autonomia di volo, per coprire mille e cinquecento chilometri. La distanza fra Gerusalemme e Teheran. Un team dell’aviazione israeliana si trova attualmente a Fort Worth, in Texas, per seguire il prototipo che arriverà a Tel Aviv nel 2016. Ieri da Gerusalemme si sono levate voci bipartisan contro l’accordo di Vienna. L’ex premier e ministro della Difesa, Ehud Barak, al Canale Due ha detto che l’Iran diventerà presto uno stato nucleare. Il ministro Naftali Bennett ha parlato di “giorno buio per il mondo libero”, mentre l’ex ministro Yair Lapid ha detto dell’Iran: “E’ un regime basato sulla menzogna e ora otterranno armi atomiche con l’aiuto della comunità internazionale”. Adesso gli occhi del mondo sono puntati su di loro. Iran e Israele. Se il primo rispetterà l’accordo, e cosa farà il secondo in caso lo violasse.

 

“L’accordo è sicuramente un evento storico”, dice al Foglio il generale della riserva Giora Eiland, già capo del Consiglio per la sicurezza nazionale e uno dei più importanti strateghi dello stato ebraico. “Fino a due anni fa, si poteva sperare in un accordo migliore. La posizione strategica degli Stati Uniti era che l’Iran non poteva arricchire uranio sul proprio territorio. Poi Obama ha cambiato posizione e ha difeso il diritto iraniano all’arricchimento. Da quel momento tutto è cambiato”. Ci sono due presupposti nell’accordo che Israele non può accettare. “Il primo è che l’Iran rispetterà l’accordo, come pensano gli americani. Noi pensiamo che lo violerà, forse non subito, ma un domani di sicuro. Il secondo è che l’Iran dopo l’accordo modererà la sua politica, diventerà più mansueto, più stabile, più cooperativo. Falso. L’accordo fornisce all’Iran incentivi a sostenere il terrore”. Cosa accadrà ora è un dilemma. “Dal punto di vista militare, Israele non può fare niente finché l’accordo è in piedi”, ci dice Eiland. “Se ci sarà una crisi dell’accordo, allora Israele attaccherà. Politicamente il dilemma è se premere sul Congresso contro l’accordo oppure no. Netanyahu è probabile che spinga per un confronto ancora più duro con Obama”.

 

Ci sono due scenari che potrebbero far scattare l’opzione militare israeliana. Ce li spiega Ron Ben Yishai, il più rispettato e celebre corrispondente militare israeliano, immortalato nel film “Valzer con Bashir” per essere entrato per primo a Sabra e Shatila e per aver visitato in clandestinità il reattore nucleare di Damasco dopo il bombardamento israeliano. “Israele si sta già preparando all’opzione militare, acquistando armi avanzate e potenziando le proprie capacità”, dice Ben Yishai. “Israele rafforzerà l’intelligence sull’Iran per minimizzare il rischio di una sorpresa strategica, migliorerà la difesa missilistica, così come gli attacchi aerei e navali, si preparerà per un potenziale attacco preventivo contro gli impianti nucleari iraniani e Hezbollah, che dovrà essere attaccato allo stesso tempo, perché è chiaro che avrà un ruolo proattivo nel conflitto tra Israele e Iran. L’Iran è diventato uno stato-soglia, in grado di arricchire l’uranio al livello richiesto per sviluppare una testata atomica in due-tre mesi. Il più grande successo dell’accordo è che mantiene un tempo di ‘breakout’”. Quando nel 2003 il colonnello Gheddafi smantellò il programma nucleare, la Libia acconsentì a trasferire negli Stati Uniti la tecnologia acquistata dai pachistani e usata oggi dagli iraniani. Il materiale fu portato a Oak Ridge, la centrale nel Tennessee dove americani e israeliani hanno riprodotto la centrale iraniana di Natanz e dove avrebbero studiato i tempi di fabbricazione della Bomba.

 

[**Video_box_2**]Il primo scenario, il più realistico, è quello in cui l’Iran viola l’accordo e assembla la Bomba. “Israele avrebbe non più di due mesi per attaccare”, ci dice Ben Yishai. “Specie se non è sicuro che lo faccia l’America. L’Iran ha più volte dichiarato di voler cancellare lo stato ebraico dalla mappa geografica”. C’è un secondo scenario, più estremo. “Un giorno ci svegliamo e scopriamo che l’Iran ha già la Bomba. Allora ci dovremmo preparare a una nuova Guerra fredda, perché in quel caso l’opzione militare israeliana diventerebbe di mera deterrenza”. Ma che Israele ha già la bomba atomica è un segreto di pulcinella. “Questo lo dice lei. Gli iraniani lo sanno meglio di lei”.

 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.