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Un deal tira l'altro

Paola Peduzzi
L’agenda di Teheran: difendere la città di Damasco; far litigare sauditi e americani; ringraziare i russi

Milano. Il grande deal con l’Iran terrà ancora in sospeso tutto il mondo per più di due mesi, si ricomincia a trattare la settimana prossima, tra la ritrosia dei falchi, lo spin delle colombe e la possibilità che alla fine siano gli iraniani stessi a far saltare tutto, non sarebbe la prima volta. Ma all’ombra del padre di tutti gli accordi si stanno muovendo altri negoziati, legati a crisi sul campo, che spiegano meglio di qualsiasi “fact sheet” (ce ne fossero due uguali, tra l’altro) quanto costa l’accordo con Teheran.
Partiamo dalla Siria, che è all’origine di questa straordinaria confusione geopolitica, anche se ormai si tende a non ricordare più che la crisi è nata da una protesta del popolo siriano contro il suo dittatore che aveva mandato in prigione dei ragazzini che avevano scritto su un muro che Bashar el Assad era cattivo. La Siria oggi è un paese guidato da un dittatore che controlla pochi territori, che non riesce a riconquistare Aleppo benché ci stia provando da parecchio tempo – persino le milizie di Hezbollah, fedelissime e agguerritissime, secondo alcuni media libanesi non vogliono più andare a combattere lassù. Il feudo da difendere è Damasco, il Palazzo del presidente. E’ lì che è concentrato il grosso delle Guardie della rivoluzione iraniana, i bodyguard di Assad, si dice siano seimila uomini, assieme ad altre milizie che vengono dall’Iraq e che proteggono l’aeroporto della capitale siriana. Per maggio l’Onu prevede un nuovo round di colloqui con gli interlocutori in Siria, condotti dall’inviato Staffan de Mistura, e basati sul comunicato di Ginevra 2012, un pezzo di carta già inutile allora, figurarsi oggi, che parlava di un processo di transizione a Damasco senza citare mai Assad.

 

Ora De Mistura chiederà in giro che cosa si pensa di quel documento, “ci saranno consultazioni separate – ha detto un portavoce dell’Onu, Stéphane Dujarric – con gli azionisti siriani, gli attori regionali e internazionali per comprendere i loro punti di vista oggi”. Il mandato arriva direttamente da Ban Ki-moon, il segretario generale delle Nazioni Unite che più di altri suoi predecessori ha assaporato l’inutilità del proprio lavoro (anche il suo inviato in Yemen ha lasciato l’incarico mercoledì), e il nuovo round negoziale riguarda ovviamente anche l’Iran. La lista degli invitati non è ancora stata ultimata, ma la Reuters scrive che c’è anche Teheran: già ai colloqui, sempre infruttuosi, tenuti all’inizio dell’anno, l’Iran era stato invitato, ma poi l’incontro non c’era stato perché si temeva una sovrapposizione con le trattative sul nucleare – ora questo ostacolo è stato parzialmente rimosso. Così lo status di interlocutore paritario che l’Iran vuole conquistare da sempre sta diventando realtà.

 

Questo ruolo da regista, cui Teheran ambisce e che è il sottotesto del grande deal sul nucleare, causa un guaio al giorno all’Amministrazione Obama, come dimostra quel che sta accadendo in questi giorni: il premier iracheno, Haider al Abadi, in visita a Washington ha detto che la reazione saudita in Yemen – fatta per contrastare l’offensiva iraniana – è stata eccessiva, “non posso parlare in nome dell’Amministrazione americana, ma posso dire che eravamo d’accordo”. I sauditi si sono infuriati, Washington ha smentito, ma le difficoltà delle alleanze avventurose di Obama occupano ormai i media americani, con il solito John Kerry, segretario di stato, a dire un giorno che non vuole atteggiamenti di sfida con Teheran sullo Yemen e quello dopo che l’asse con i sauditi non cede. Teheran gongola, ieri il suo ministro della Difesa era al vertice sulla sicurezza organizzato a Mosca a celebrare la vendita dei missili S-300 russi (che secondo il ministero della Difesa di Gerusalemme “è una diretta conseguenza dell’accordo di Losanna” e secondo il presidente russo, Vladimir Putin, sono solo “armi difensive”, non costituiscono alcuna minaccia) mentre Javad Zarif, ministro degli Esteri iraniano molto amato anche in occidente, proponeva ai sauditi un cessate il fuoco in Yemen, come se possa essere accettata a Riad una mano tesa, si fa per dire, da parte di Teheran.

 

[**Video_box_2**]C’è solo lo Stato islamico a rovinare la festa: nonostante la sconfitta di Tikrit, il gruppo jihadista sta avanzando verso Ramadi, alcuni villaggi intorno sono già stati conquistati. Il governo di Baghdad ha chiesto l’intervento di Hash al Shabi nei combattimenti, l’esercito iracheno da solo non ce la fa: è una milizia legata all’Iran.

 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi