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Teoria iraniana sulla morte del procuratore argentino Nisman

Pio Pompa
L’ombra del regime degli ayatollah si allunga sulla storia della morte del procuratore di Buenos Aires Alberto Nisman.

Roma. Mentre le trattative sul nucleare iraniano tra Teheran e Washington dovrebbero chiudersi a fine giugno con la firma di un accordo definitivo sulla base di quello provvisorio siglato a Losanna in Argentina l’ombra del regime degli ayatollah si allunga su un’altra storia, quella della morte del procuratore di Buenos Aires Alberto Nisman, avvenuta il 18 gennaio scorso. Nisman, di origine ebraica, aveva osato accusare il presidente argentino, Cristina Kirchner, e il suo ministro degli Esteri, Héctor Timerman, di aver coperto le responsabilità dell’Iran nell’attentato che, nel 1994, colpì la comunità ebraica di Buenos Aires provocando la morte di 85 persone. Secondo il procuratore, le autorità argentine occultarono le responsabilità di Teheran in cambio di accordi economici favorevoli nel settore degli idrocarburi. Nisman accusò di cospirazione Kirchner e Timerman, con un’inchiesta monstre che sottolineava lo straordinario livello di penetrazione dell’intelligence iraniana e di Hezbollah in Argentina e altri importanti paesi dell’America latina, ma è stato trovato morto in casa sua nel giorno in cui sarebbe dovuto andare a discutere della sua indagine davanti al Parlamento argentino. La sua morte – le indagini non hanno ancora dimostrato se si tratta di suicidio o di omicidio – ha provocato un enorme scandalo in patria, ma la settimana scorsa un giudice, tra molte polemiche, ha sollevato la presidente e il ministro Timerman da ogni accusa.

 

Ma c’è anche chi non la pensa così, come il sito di intelligence Debka, che di recente ha pubblicato un’inchiesta in cui ipotizza che Nisman sia stato ucciso, e che l’ordine sia partito da Teheran. Debka è una fonte di intelligence controversa che ad informazioni notevoli alterna teorie del complotto, e la pista iraniana è interessante quanto scivolosa. Ad assassinare Alberto Nisman, scrive Debka, sarebbe stato un sicario iraniano che, spacciandosi come dissidente sotto il falso nome di Abbas Haqiqat-Ju, frequentava da quattro anni il procuratore. Quando, a indagine ormai finita, Haqiqat-Ju riceve l’ordine di eliminare Nisman, pianifica con cura l’operazione. Dice a Nisman che c’è un secondo dissidente, già alto funzionario dei servizi iraniani, fuggito dal suo paese con una imponente documentazione in grado di corroborare le sue accuse. Nell’occasione avverte Nisman che il dissidente in questione è disposto a consegnargli personalmente la documentazione a condizione che egli si liberi della scorta, composta da dieci uomini, e lo riceva a casa sua. Quando il 18 gennaio il magistrato sente bussare all’uscio di casa pensa di incontrare il dissidente descrittogli dal suo amico e confidente. Invece, scrive Debka, gli si presenta proprio Haqiqat-Ju. Mentre il magistrato, in attesa di avere spiegazioni sul mancato appuntamento gli prepara da bere, il sicario entra in azione. Sapendo dove Nisman custodiva una pistola calibro 22, chiesta in prestito a un suo collaboratore, Haqiqat-Ju impugna l’arma e uccide il procuratore. Poi lascia l’edificio sapendo che i suoi complici dentro ai servizi argentini avevano disattivato le telecamere di sicurezza. Si reca all’aeroporto e con un passaporto falso raggiunge prima Montevideo, in Uruguay, poi Dubai e, infine, Teheran. “Inoltre – puntualizzano le nostre fonti – alla riuscita della missione affidata a Haqiqat-Ju hanno contribuito in maniera determinante, specie sotto il profilo dell’assistenza materiale e logistica, agenti di Hezbollah da anni infiltrati in Argentina e in altri paesi dell’America latina, tra cui l’Uruguay dove, non a caso, il sicario ha fatto la sua prima tappa raggiungendo Montevideo”.
La teoria esposta da Debka presenta molti punti oscuri, e secondo i magistrati argentini la soluzione più probabile resta quella del suicidio. Ma secondo Debka, se qualcuno vuole trovare l’assassino di Nisman, bussi alle porte di Teheran.

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