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Editoriali

Salvate Tim dalle mani della politica

Redazione

Un’opa azzoppata. Un capitale distrutto. Gli errori del governo su Tim

Domenica il cda di Tim esaminerà l’offerta del fondo Kkr per il 100 per cento del gruppo a 0,505 euro ad azione. La proposta risale allo scorso novembre e da allora è accaduto che: il capo azienda è divenuto Pietro Labriola, in Tim da oltre 20 anni; lo storico conflitto tra Vivendi (azionista al 24 per cento) e Cassa depositi e prestiti, cioè il Tesoro (circa il 10), si è ricomposto proprio intorno al nome di Labriola; il nuovo ceo ha presentato i conti del 2021 con 8,7 miliardi di perdite, 22,2 miliardi di debiti al lordo di operazioni straordinarie (17,6 al netto); ha delineato la scissione della rete dai servizi, con la prima da unire a Open Fiber dove Cdp ha il 60 per cento; il mercato ha reagito facendo crollare il titolo al minimo storico di 0,25. Poi c’è stata l’Ucraina, in ogni caso Tim ha recuperato quota 0,29. Poco più della metà di quanto offre Kkr, sulla cui offerta il management vecchio e nuovo ha tenuto la bocca chiusa.

 

Dunque: due aziende a sostanziale controllo pubblico, Open Fiber e Tim, intendono fare la stessa cosa (la rete in fibra nazionale), non riescono però a spiegare ad azionisti, clienti, fornitori –  e all’Europa che sulla fibra italiana mette in campo 3,8 miliardi (che però scadono a giugno) – le modalità, i tempi, i costi dell’operazione. Già, ma quale operazione? Su un punto sembrano d’accordo, sbarrare la strada ad altri privati, mentre la Consob sorvola sul turbinio di previsioni sul futuro del titolo anche avvalorate dall’interno. Eppure, a decidere è lo stesso soggetto, il ministero dell’Economia. E poi c’è Palazzo Chigi: considera strategica la rete unica? E ritiene che lo stato debba averne la maggioranza assoluta? I sindacati e vari ex manager fanno lobbying per tornare alla vecchia Telecom dell’Iri, citando ad esempio Germania e Francia. Ma in Deutsche Telekom e in Orange lo stato ha rispettivamente il 16 e il 13 per cento, ciò che basta per il golden power. Il resto al mercato, che è tenuto a investire quanto serve. Aleggia il solito spettro Alitalia. E a proposito: si sbrighino a trovare il compratore di Ita.

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