Pietro Labriola, in una foto tratta dal suo profilo Linkedin

Per il futuro di Tim, il ceo Labriola lavora a un patto tra Kkr e Cdp

Mariarosaria Marchesano

Da settimane lavora a un business plan che prevede la separazione tra l’infrastruttura e i servizi, con la costituzione di due società distinte (qualcuno dice tre). Ce la farà? 

Se c’è un commento che si sente spesso ripetere su Pietro Labriola, nominato con voto unanime ceo di Telecom nel bel mezzo di una contesa tra il fondo americano Kkr e un azionariato diffuso e litigioso, è che è un uomo d’azione a cui non manca l’inventiva. Classe 1967, è di origine pugliese, interista, anticonformista per certi versi (passione per i tatuaggi), viene dal marketing e dallo sviluppo del business. Si è formato quasi esclusivamente nel settore delle telecomunicazioni, dove ha ricoperto incarichi a vari livelli per diverse società, da France Télécom a Infostrada. Ma è in Telecom Italia che ha scalato tutti i gradini fino ad arrivare all’apice di Tim Brasile con risultati che tutti gli riconoscono.

      

Oggi queste caratteristiche da manager eclettico sono sotto la lente d’ingrandimento della comunità finanziaria che vuole capire se Labriola si sentirà a suo agio nel ruolo di guida dell’ex monopolista pubblico, dovendo affrontare un processo complesso e insidioso come la scissione della rete fissa, su cui riferirà già al prossimo cda del 26 gennaio. Lui che è abituato a muoversi in anticipo su tutto, da settimane lavora a un business plan che prevede la separazione tra l’infrastruttura e i servizi, con la costituzione di due società distinte, anche se qualcuno indica la possibilità che il nuovo ceo abbia previsto una terza entità come risultato di un’aggregazione tra le controllate Olivetti, Tim Noovle (cloud) e Telsy (cyber security). In questo caso Telecom Italia si farebbe in tre, un vero spezzatino il cui obiettivo è creare una struttura societaria che faciliti la valorizzazione e la dismissione di asset a beneficio della riduzione del grande debito (circa 18 miliardi). Ce la farà? 

   
Gli analisti del centro studi di Intesa Sanpaolo, per esempio, pur riconoscendo a Labriola il lavoro fatto in Tim Brasile e la forte conoscenza che ha dell’azienda, ne sottolineano la mancanza di esperienza “di situazioni complesse con più stakeholder”. Come per dire che contemperare le aspettative di azionisti di diversa natura come il gruppo francese Vivendi e la Cdp, che in Telecom Italia è il braccio operativo dello stato, non sarà proprio una passeggiata. Per contro, gli stessi analisti ricordano che il manager ha già avuto modo nella sua carriera di valutare un progetto di scorporo della rete fissa quando ai vertici di Telecom c’erano Franco Bernabè e Marco Patuano, che provarono a imitare il modello di British Telecom che in quegli anni si separò da un pezzo della sua rete (Open Reach) pur mantenendone il controllo. Labriola fu nominato a capo del progetto, di cui però non si fece più nulla e fu così che il manager prese la strada del sud America. 

 
Da allora sono passati quasi dieci anni ma la situazione in Telecom non è molto cambiata visto che sono sempre lo scorporo della rete e il suo assetto proprietario a tenere banco. Con una differenza: il dubbio non è più se procedere o meno in questa direzione, ma come arrivarci. La soluzione che piacerebbe di più al mercato è che si concretizzasse l’opa a 0,505 euro per azione di Kkr, visto che contiene un premio per grandi e piccoli azionisti. In questo caso sarebbe il fondo statunitense, a cui non manca un piccolo esercito di finanziatori pronti a sostenere un’operazione che comporta una spesa di oltre 10 miliardi, a occuparsi di togliere Telecom dalla Borsa, a procedere con la scissione dell’infrastruttura e all’eventuale fusione con la società concorrente Open Fiber, controllata dalla Cdp, per dar vita a una rete unica in Italia. 

 
Ma Kkr è ancora in attesa di una risposta da parte del cda di Telecom sulla sua proposta preliminare. Risposta che potrebbe non arrivare in tempi brevi neanche dopo la nomina del nuovo ceo che mette fine all’incertezza sulla governance. L’altra prospettiva, che poi è l’obiettivo di Labriola, è realizzare uno spin-off modello Cnh-Iveco. Dalla scissione potrebbero nascere due società distinte, rete e servizi, entrambe quotate a Piazza Affari. Solo successivamente si potrebbero studiare alleanze con altri investitori. In questo caso la parte più difficile è definire il perimetro delle due newco, quanti addetti e quanto debito da una parte e dall’altra.
 

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