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lo spunto

Troppe zone d'ombra nell'affare Kkr-Tim. Una critica ragionata

Paolo Cirino Pomicino

La proposta del fondo americano è piena di contraddizioni, in un settore in cui è bene garantire l'indipendenza nazionale. E soprattutto: perché non è stata confermata né smentita?

La proposta cosiddetta amichevole fatta dal fondo americano Kkr per l’acquisto dell’intero pacchetto azionario di Tim al prezzo di 0,505 ad azione (11 miliardi di euro) ha riproposto al centro del dibattito politico-economico del paese il tema delle telecomunicazioni. Parlarne senza ricordare in punta di penna il triste passato sarebbe un errore grave. L’allora Stet-Telecom, privatizzata nel 1997 dal governo Prodi a un prezzo risibile, era una società con i conti in ordine, uno scarso indebitamento, con forti innovazioni tecnologiche e progettuali (il progetto Socrate di Pascale ed Agnes) e aveva in pancia una grande telefonia mobile guidata da Vito Gamberale che, per tecnologia e volumi di traffico, era la seconda al mondo. Da quel momento passò dal nocciolo duro a guida Fiat, che più molle non poteva essere, a Roberto Colaninno e ai suoi capitani coraggiosi per finire alla Pirelli di Tronchetti Provera per approdare poi a Telco (la spagnola Telefonica più banche) e, dopo un rapido passaggio al fondo Elliot, è giunta alla compagine di oggi a guida dei francesi di Vivendi di Vincent Bolloré

Non vanno dimenticate due cose in questo turbillon di passaggi di mano. Prima di privatizzarla, il governo dell’epoca stralciò da Telecom la Seat Pagine Gialle per venderla  a una società denominata Otto, dal numero dei componenti della cordata acquirente con forti presenze nei paradisi fiscali, al prezzo di 2.500 miliardi di vecchie lire. La società Otto fu poi  acquistata, dopo soli 30 mesi, dalla Telecom privatizzata a ben 16 mila miliardi con una plusvalenza di quasi 14 mila miliardi di vecchie lire, cioè 7 miliardi di euro! Il più grande scandalo della storia unitaria del paese nel silenzio complice di tanti. La seconda cosa da non dimenticare è che sei mesi dopo la privatizzazione di Stet-Telecom e Tim, sempre il governo dell’epoca autorizzò l’Enel a istituire un’altra telefonia mobile pubblica, Wind, che dopo alcuni anni fu venduta all’egiziano Sawiris con una perdita per l’erario di ben 5 mila miliardi di vecchie lire. L’ingresso trionfale nella Seconda Repubblica

Tornando al tempo presente e alla proposta di Kkr, va subito detto che la rete fissa di Tim va mantenuta in mani pubbliche sia per la garanzia della concorrenza tra le società telefoniche sia per la sicurezza nazionale. Sarebbe davvero strano che lo stato italiano, dopo aver di fatto nazionalizzato le autostrade, si privasse di una rete infrastrutturale fonte di sicurezza e di perenni innovazioni tecnologiche. Detto questo però, e proprio sulla scorta del passato richiamato, la proposta di Kkr è piena di contraddizioni inquietanti. Non abbiamo mai visto innanzitutto una richiesta con la quale si chiede il permesso di fare un’Opa alla stessa società oggetto dell’Opa attraverso una manifestazione di interesse per acquistare il 100 per cento delle azioni contentandosi però del 51 per cento. Non abbiamo neanche mai visto che chi fa una manifestazione di interesse non vincolante offra sin da adesso un prezzo indicativo e allo stessa tempo chieda di fare una “due diligence” – ben sapendo che chi vuole acquistare il 100 per cento di una società fa un’Opa e non ha bisogno di fare alcuna “due diligence”, perché in Borsa ci sono tutti gli elementi utili alla definizione del prezzo.

Banca Intesa, tanto per fare un esempio autorevole, quando volle acquistare Ubi lanciò prima un’Opa e poi spiegò a Ubi e ai suoi amministratori lo spirito amichevole nell’interesse di tutti gli azionisti. Ma le ombre mica finiscono qui. Questa manifestazione di interesse è stata fatta attraverso una lettera inviata a Luigi Gubitosi, amministratore di Tim in procinto di essere sfiduciato, e non ancora resa pubblica. E ancora, come mai a circa dieci giorni dalla notizia il fondo americano non dice una parola, neanche uno scarno comunicato confermando la proposta amichevole? E resta infine incomprensibile il silenzio della Consob, considerando anche che vi sono stati movimenti significativi sul titolo Tim in Borsa. A questo punto, e senza malizia, una domanda è d’obbligo: la proposta c’è per davvero o è stata una compiacente affettuosità all’amministratore della Tim in difficoltà? Se la proposta non ci fosse, la Kkr avrebbe dovuto subito smentire ma se ci fosse, però, dopo tante polemiche e a distanza di dieci giorni la Kkr un colpo lo avrebbe dovuto battere. E allora? Chissà, forse è il triste destino di un settore strategico in un paese in cui i governi non hanno da tempo né forza né visione.

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