Editoriali
Tribunali di carriera
Lo strano caso del giudice Terzi, dimessosi per delusione professionale
Non abbiamo strumenti per valutare la carriera e le qualità professionali di un magistrato come Massimo Terzi, fino a qualche giorno fa presidente del tribunale di Torino e ora dimessosi dalla carica e dalla stessa magistratura in seguito a una “delusione” di carriera. Non abbiamo strumenti per giudicare neppure il suo collega Giuseppe Ondei, nominato presidente della Corte di appello di Milano, il ruolo cui Terzi ambiva. Sono senza dubbio due ottimi e integerrimi magistrati. La vicenda che riguarda il magistrato torinese è però interessante, forse significativa, e di certo offre più domande che risposte. Terzi, 65 anni, si è dimesso scegliendo la pensione con cinque anni di anticipo perché, ritenendosi favorito per la nomina a Milano – un importante avanzamento di carriera in una carriera in cui i meccanismi di avanzamento sono tutto – è stato sopravanzato da Ondei. Si è sentito tradito “da meccanismi di merito e di riconoscimento di competenze che pure è convinto di aver dimostrato nel tempo di possedere”, ha scritto la Stampa. Che ha riportato le sue dichiarazioni: “Ho fatto 17 anni di ruoli direttivi e mi hanno preferito un altro che non aveva questi numeri. Cosa dovrei pensare?”.
“Avevo più titoli io. Sono deluso da questo mondo e quindi vado via. A queste condizioni non ci sto”. Non sappiamo dire se una mancata promozione sia un motivo sufficiente per abbandonare una professione in cui – ci piace pensare, per la sua importanza civile – si entra anche per un senso di dovere nei confronti dello stato e della comunità. Un medico che diventi primario, pur avendone i meriti, smetterebbe di esercitare come medico? La scelta di Terzi è personale e legittima. Però, come lui stesso dice, esistono nell’attuale sistema una opacità e una scarsa funzionalità evidenti, senza nemmeno stare a citare le beghe del Csm. Sabino Cassese ha scritto sul Corriere che tra i problemi che rendono farraginosa la magistratura c’è persino “un alto grado di familismo”. Forse si dovrebbero tenere separate anche l’alta funzione pubblica e la carriera.
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