Duellanti per procura

La “sfida all'Ok panchina” dei pensionati Greco e Davigo è surreale, ma ha sensi nascosti

Maurizio Crippa

I due colleghi, un tempo alleati, oggi si scontrano fuori tempo massimo su questioni del tutto personali

Come i Duellanti di Ridley Scott che si sfidano anche se ormai sono vecchi e il loro Imperatore non c’è nemmeno più; o come gli Highlander del famoso film che attraversano i secoli pur di darsele in nome dell’onore. La singolar tenzone che da mesi oppone Francesco Greco, procuratore capo di Milano prossimo alla pensione, e il suo ex collega all’epoca del pool e oggi pensionato Piercamillo Davigo ha un che di  surreale. E non è tanto il fatto che due “che combattevano dalla stessa parte” ora bisticcino a sangue. E’ invece il fatto che lo scontro sia appunto così fuori tempo massimo, così ininfluente sui destini del paese e persino su quelli della magistratura. Uno scontro in cui l’interesse pubblico, al massimo, è scoprire la quantità di polvere nascosta sotto il tappeto della Giustizia che la lite ha fatto uscire. Per il resto, l’interesse è solo loro, tutto personale. Al limite della bega privata.


Il caso è sempre quello dei brogliacci dell’avvocato Amara che il pm milanese Paolo Storari fa uscire non protocollati e passa brevi manu a Davigo, allora consigliere Csm, e che mettono in cattiva luce Greco (a onor di Greco, va detto che la faccenda della Loggia Ungheria è una tale fuffa che chiunque avrebbe lasciato perdere). Domenica, Greco s’è fatto intervistare en large da Milena Gabanelli sul Corriere e s’è tolto fino all’ultima pietra dagli stivaloni. “Aver fatto uscire dal perimetro del segreto investigativo dei verbali secretati è un atto irresponsabile, tanto più per un magistrato inquirente”, e con questo Storari è sistemato. Ma la sciabolata più violenta è per Davigo: “Una cosa è sicura: l’uscita era nell’interesse di Davigo che non si è preoccupato assolutamente della sorte del procedimento e quando ha lasciato il Csm quei verbali li ha abbandonati. Fatto imbarazzante”. Un po’ dice e un po’ lascia intendere, ma “interesse” è parola pesante. Passa un giorno, sull’organo davighista il Fatto esce la notizia che Davigo ha “mal digerito” le bordate del procuratore di Milano e intende querelare l’ex collega. E’ “la rottura definitiva di ciò che fu Mani Pulite”, scrive sconsolato il Fatto (e anche sticazzi). 

Sia Greco, sia Davigo sono indagati a Brescia per aver tenuto, circa la stessa faccenda, comportamenti opposti. E questo, più che “la rottura definitiva” dell’ex pool, lascia piuttosto emergere quanto il modus operandi della magistratura, soprattutto quando i temi sono pesanti come il processo Eni-Nigeria, non siano sempre proprio lineari. E va ricordato che il  processo “per la più grossa presunta tangente” della storia italiana, condotto a Milano, si è concluso con le assoluzioni in primo grado perché “il fatto non sussiste”.  Probabilmente il peggior flop della carriera di Greco.

Davigo ha rancori suoi, all’epoca era in lotta col Csm per mantenere il seggio, soprattutto vuole preservare immacolata l’immagine dell’Incorruttibile. Greco ha un problema più complesso: è alla sua legacy di rito ambrosiano che pensa. “Questa Procura ha sempre rappresentato l’indipendenza e la libertà dei magistrati. E’ questo simbolo che deve essere abbattuto” ha detto a Gabanelli, che immaginiamo far di sì col capino. “Io non ho mai visto una campagna mediatica quotidiana così compatta e violenta come quella che è in corso in questi mesi, utilizzando la vicenda Storari e l’assoluzione in primo grado dell’Eni”. Non sono due bazzecole, tanto che Greco aveva già risposto ringhiando quando ben 56 suoi magistrati si erano schierati in solidarietà con Storari, cioè contro di lui: “Menzogne, calunnie e diffamazioni”. L’intervista a Gabanelli è costruita per difendere la caratura delle grandi inchieste “internazionali” di Greco: e Davigo vada alla malora. Gabanelli offre gli argomenti sul vassoio: “Secondo lei sono pretesti di un disegno più ampio?”, chiede. “Veda lei. La procura di Milano rappresenta da decenni un’anomalia, per la capacità di svolgere un ruolo cruciale e sempre innovativo sia sul fronte della legalità politica ed economica nazionale e internazionale… Per alcuni questa anomalia deve finire”.  

 

Se Davigo, a questo punto, sia da annoverare tra gli inconsapevoli esecutori del piano, non sappiamo dire. Ma è curioso che, nel caso, i misteriosi nemici della procura di Milano provengano tutti dalla procura di Milano. E si torna ai duellanti highlander. Sono passati trent’anni da quando il pool fece fuori un sistema politico con sistemi di dubbia ortodossia. La memoria di quei fasti e le biografie dei esecutori non interessando più a nessuno. Il mondo è cambiato, persino un po’ l’Italia. Abbiamo schivato la rivoluzione di Bonafede e si stanno ora facendo le vere riforme che l’Europa ci chiede da molti anni. La “sfida all’Ok panchina” dei pensionati ai giardinetti è fuori tempo massimo.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"