i dati

Mercato del lavoro e precarietà nel mondo al contrario di Landini

Luciano Capone

La Cgil lancia una campagna referendaria contro il precariato dilagante. L'Istat certifica che in un anno ci sono 600 mila occupati permanenti in piùe  200 mila “precari” in meno. Il sindacato dovrebbe pensare di più al rinnovo dei contratti

Maurizio Landini evidentemente vive nel mondo al contrario del generale Vannacci. Ieri, a Repubblica, l’ha detto di nuovo: “L’anno scorso su 7 milioni di contratti attivati solo il 16% era stabile, l’84% precario”. È per questa ragione che la Cgil ha promosso i referendum per abrogare il Jobs Act (ciò che ne resta) e “il precariato”. 

Per puro caso, proprio ieri, sul Foglio spiegavamo perché quel dato è completamente falso e fuorviante. Si riferisce ai dati Inps sui nuovi contratti lordi (solo le attivazioni) che in effetti sono 1,32 milioni a tempo indeterminato su 8,2 milioni totali: il 16%, appunto. Ma se si considera, come sarebbe ovvio e corretto, la variazione netta dei rapporti di lavoro, ovvero le attivazioni e le trasformazioni meno le cessazioni, il rapporto si ribalta: nel 2023 su 523 mila rapporti in più quasi 400 mila sono a tempo indeterminato (il 75%), dice l’Inps. Ma non basta.

Sempre il caso ha voluto che ieri l’intervista di Landini coincidesse con la rilevazione mensile dell’Istat sull’occupazione. Cosa dicono i dati? Che a febbraio, rispetto al mese precedente, l’occupazione cresce di 41 mila unità, ma soprattutto che a crescere sono i dipendenti permanenti (+142 mila) mentre calano quelli a termine (-76 mila) e autonomi (-26 mila).

Il dato più rilevante per descrivere come si sta muovendo il mercato del lavoro in Italia è la variazione tendenziale. Ebbene, l’Istat dice che a febbraio 2024, rispetto a febbraio 2023, gli occupati sono 351 mila in più. E questa variazione positiva è più che integralmente dovuta all’aumento degli occupati a tempo indeterminato: i dipendenti permanenti, infatti, in un anno sono cresciuti di 603 mila unità. Mentre i dipendenti a termine sono diminuiti di 200 mila unità, così come sono diminuiti gli occupati indipendenti di 53 mila unità.

In pratica, non solo il mercato del lavoro è cresciuto, nel senso che gli occupati sono arrivati alla cifra record di 23,7 milioni, ma è diventato anche più stabile e meno “precario”: 600 mila occupati permanenti in più, 200 mila “precari” in meno. L’esatto contrario del mondo che disegna Landini nelle sue interviste. 

I dati di un mercato del lavoro forte sono ancora più evidenti se si allunga lo sguardo all’ultimo biennio: rispetto all’inizio del 2022, oggi ci sono circa 1 milione di occupati in più e tutti a tempo indeterminato, 200 mila disoccupati in meno e 800 mila inattivi in meno. L’offerta di lavoro si è quindi notevolmente allargata e anche stabilizzata.

Questi sono dati incontrovertibili, che descrivono una situazione opposta rispetto al quadro horror e surrealista dipinto da Landini e dall’ex presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ora candidato alle europee con il M5s, secondo cui sarebbero aumentati i precari e diminuite le ore lavorate.

Sono parole in libertà, semplicemente false, e anche logicamente contraddittorie rispetto a quello che è accaduto all’economia italiana. In questo senso, la campagna referendaria contro il “precariato” dilagante cade nel momento meno adatto.

Ciò non vuol dire che non ci siano nuvole all’orizzonte o che non ci siano miglioramenti da fare. La preoccupazione principale di tutti dovrebbe essere quella di consolidare questo risultato, sia in termini di numeri che di qualità del lavoro, ora che il paese sta entrando in una fase di crescita più bassa rispetto al passato e di inevitabile correzione dei conti.

I deficit fiscali al 7-8% annuo non sono più sostenibili e, con l’introduzione del nuovo Patto di stabilità, l’Italia dovrà andare spedita verso un consistente avanzo primario per mettere il debito pubblico su una traiettoria di sostenibilità.

Ci sono alcuni indicatori che sono un po’ dei campanelli d’allarme, come la produzione industriale in calo da un anno che segnala una difficoltà del settore manifatturiero per via della crisi energetica e della crisi industriale in Germania, a cui le imprese italiane sono strettamente legate. Anche se un segnale positivo arriva dall’indice Pmi manifatturiero che a marzo è salito a quota 50,4, uscendo dopo un anno dalla contrazione per unirsi alla Spagna che è l’altra tra le quattro maggiori economie europee ad aver superato la soglia dei 50 punti.

L’altro settore da tenere sott’occhio è quello delle costruzioni che, con la fine della folle stagione del Superbonus, rischia una forte contrazione. Bisognerà quindi gestire in qualche modo lo scoppio della bolla occupazionale nell’edilizia residenziale, magari accelerando l’attuazione del Pnrr e sperando che gli investimenti privati si sostituiscano in parte ai generosi sussidi pubblici (considerando anche che i bonus edilizi resteranno al 70%, il livello più alto al mondo).

C’è infine il tema dei salari, che sono stagnanti. Proprio il forte aumento di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato indica che, rispetto a prima, le retribuzioni dipendono in maggiore misura dai contratti collettivi.

In questa fase di rinnovi contrattuali, con un mercato del lavoro molto stretto, c’è lo spazio per i lavoratori di recuperare buona parte del potere d’acquisto perso in questo biennio di inflazione sostenuta. Il rinnovo del contratto del commercio, con un accordo raggiunto dopo quattro anni di attesa e che prevede un aumento, a regime, di 240 euro al mese per il quarto livello, è un segnale incoraggiante.


Dopo che in una prima fase il governo ha sostenuto i salari con una forte decontribuzione, ora che la politica fiscale si farà inevitabilmente più restrittiva, è sul terreno della contrattazione con i datori di lavoro che il sindacato può svolgere un’azione positiva per far salire i salari.

Forse è  persino più utile per il ruolo e la legittimazione di Cgil, Cisl e Uil agli occhi dei lavoratori (incluso il milione di nuovi occupati) rispetto a una battaglia politico-referendaria contro il governo in nome di una “precarietà” dilagante che esiste solo nel mondo al contrario di Landini.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali