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il caso

Perché il nuovo contratto del terziario è un modello da seguire 

Dario Di Vico

Stipendi che salgono: più 240 euro. Ogni contratto che si rinnova, in questa fase di economia debole, non può che incoraggiare l’uscita dal ristagno dei consumi. Cosa può imparare il mondo industriale

Alla fine il contratto del terziario è stato firmato. Erano cinque anni che non avveniva e di conseguenza non si può che brindare alla lieta novella. Al tavolo c’erano Confcommercio e Confesercenti da una parte e le categorie dei sindacati confederali dall’altro. In estrema sintesi l’intesa è stata trovata in 240 euro di aumento a regime con una prima tranche di 70 pagata ad aprile 2024 e una una tantum di 350 euro. Un risultato giudicato equilibrato dalle parti e che pare in linea con le conclusioni a cui erano arrivati gli ultimi contratti della manifattura rinnovati negli scorsi mesi. In questo modo il sistema delle relazioni industriali sicuramente si rafforza, appare più inclusivo e si evita che un’eventuale adozione del salario minimo possa rivelarsi come uno scardinamento e una penalizzazione della contrattazione. 


Insomma per le parti sociali è un giorno di protagonismo. Il contratto riguarda 3,5 milioni di lavoratori e avrà una vigenza triennale. La prossima settimana si riuniranno i tavoli della Federdistribuzione, della Federalberghi e dei piccoli esercenti con il proposito di ampliare e chiudere la partita con il contratto della Gdo e del turismo. Le previsioni sembrano favorevoli e non ci si dovrebbe discostare troppo dall’intesa raggiunta dal commercio. Ogni contratto che si rinnova, in questa fase di economia debole e di sviluppo dello zero virgola, non può che incoraggiare l’uscita dal ristagno dei consumi, che come abbiamo visto per i dati della produzione industriale dei giorni scorsi determina a monte un andamento a scartamento ridotto dell’industria. Le vendite al dettaglio a febbraio sono rimaste in territorio negativo ma si spera in una ripresina primaverile. Da questa considerazione emerge nettamente il nesso tra relazioni industriali floride e crescita e, senza volersi fare troppe illusioni, qualche messaggio positivo era arrivato persino dalla conclusione di un contratto decisamente sui generis come quello dei lavoratori indipendenti che portano a casa la spesa, gli shopper.


Se usciamo dall’ambito delle retribuzioni e degli effetti macro dei rinnovi contrattuali però il bilancio non può essere particolarmente entusiasmante. Non troviamo strumenti di gestione dell’innovazione pur in una fase storica in cui il mondo del commercio, come il resto dei servizi, è al centro di profonde trasformazioni tecnologiche e quindi un negoziato moderno con i lavoratori avrebbe tanta trama da scrivere. Non è così e bisogna farsene una ragione. Le aziende non vogliono discutere veramente di organizzazione del lavoro con i sindacati. È un peccato perché comunque all’orizzonte ci sono le nubi che riguardano la scarsa attrattività del terziario e la necessità quindi di innovare flessibilità e orari per poter ingaggiare con regolarità nuove risorse e non continuare ad attaccare alle vetrine dei punti di vendita quei tristi cartelli con scritto “cercasi personale”. Senza tutto ciò si va comunque avanti ma in maniera confusa e contraddittoria. Per concludere, nel momento in cui la cittadella del lavoro normato issa la bandiera di un’intesa raggiunta non bisogna dimenticare come rimangano da curare le periferie del lavoro povero che stanno attorno al terziario low cost italiano, ovvero il mondo degli appalti, del part-time involontario e di una logistica fortemente frantumata. Ma è indubbiamente un’altra storia.
 

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