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Meloni copia l'agenda Landini sul cuneo fiscale. Eppure la Cgil protesta

Luciano Capone

"Tre miliardi non sono sufficienti, serve una decontribuzione di 5 punti", dice il sindacalista. Ma i soldi del Def aggiunti ai 4,8 miliardi della legge di Bilancio arrivano proprio alle richieste del sindacato: il governo Meloni concentra il taglio dei contributi sui lavoratori più poveri (più del governo Prodi)

Maurizio Landini non ha preso bene la scelta del governo, inserita nel Def, di ridurre il cuneo fiscale di altri 3 miliardi: “Quelle risorse non sono sufficienti – ha detto il leader della Cgil –. La nostra richiesta è una riduzione di 5 punti del cuneo contributivo”, ha aggiunto, rilanciando la “mobilitazione” dei sindacati senza escludere lo sciopero.

 

È una sorta di déjà vu. “Chiediamo che il del cuneo fiscale non sia di 2 punti ma di 5”, diceva Landini a novembre 2022. All’epoca nel governo discuteva la proroga della decontribuzione di 2 punti introdotta dal governo Draghi e il taglio di un altro punto a favore dei datori. Alla fine, Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti decisero di dedicare il taglio di 3 punti esclusivamente a favore dei lavoratori, stanziando 4,8 miliardi. Cgil e Uil decisero lo stesso di scioperare.

 

“Aumentare i salari... portando la decontribuzione al 5 per cento per i salari fino a 35 mila euro”, era il primo punto delle richieste alla base dello sciopero generale in opposizione a “una legge di Bilancio contro il lavoro”. Ora il governo aggiunge altri 3 miliardi ai 4,8 già stanziati nella manovra e Landini ripete che vuole un taglio di 5 punti, senza però rendersi conto che di fatto l’esecutivo ha raggiunto la richiesta di Landini. Perché, come peraltro ha specificato il viceministro dell’Economia Maurizio Leo al Corriere, i 3 miliardi che da maggio in poi serviranno a ridurre le tasse sui dipendenti, anche se i dettagli non sono ancora disponibili, valgono in pratica il raddoppio del taglio dei contributi appena approvato. Si tratta di circa 40 euro mensili in più per circa 19 milioni di lavoratori sotto i 35 mila euro. Quindi se con la legge di Bilancio la decontribuzione era di 3 punti per i redditi fino a 25 mila euro e di 2 punti per i redditi fino a 35 mila euro, con le risorse mobilitate dal Def la riduzione del cuneo contributivo potrebbe arrivare a 6 punti per i redditi fino a 25 mila euro e a 4 punti per i redditi fino a 35 mila. Siamo, più o meno, attorno a i 5 punti richiesti dalla Cgil.

 

Contro cosa protesta, quindi, Landini? A meno che ora non ritenga i 5 punti aggiuntivi, e quindi si riparte a contare da zero dopo i 3 già approvati, ma in tal caso la decontribuzione dovrebbe essere in totale di 8 punti, il sindacato ha ottenuto la sua principale richiesta. Ma al di là dei dettagli contabili, si fa fatica a comprendere l’ostilità della Cgil e della Uil (su questo, come in alte recenti occasioni, la Cisl appare più misurata) nei confronti di un governo che ha deciso di utilizzare tutte le risorse disponibili per abbassare le tasse unicamente ai lavoratori dipendenti. Ed è questa una scelta che la premier Meloni e il ministro dell'Economia Giorgetti avevano già fatto con la legge di Bilancio e che ora rinnovano con il Def. In totale, per il 2023, sono 7,8 miliardi di euro di decontribuzione.

 

Almeno nella storia recente, non ci sono dei precedenti. Il taglio del cuneo fiscale del governo Prodi nel 2007, il più consistente degli ultimi anni, fu pari a 7 miliardi di euro ma all’epoca il governo di centrosinistra decise di dividere la somma per il 60% a favore delle imprese e per il 40% a favore dei lavoratori. Stavolta, il governo di destra stanzia il 100% a favore dei lavoratori. Nel 2014, l’intervento del governo Letta sul cuneo fiscale fu pari a circa 10 euro al mese. Solo il governo Renzi, con il celebre Bonus 80 euro, stanziò una somma superiore e strutturale (10 miliardi). Il governo Conte II, con un ministro dell’Economia del Pd, aumentò di 20 euro quel bonus stanziando 3 miliardi. Il governo Draghi, invece, mise per il taglio dell’Irap e la rimodulazione dell’Irpef 8 miliardi di euro: la Cgil e la Uil si scagliarono contro quella riforma, convocando uno sciopero generale, perché a loro avviso il taglio delle aliquote beneficiava soprattutto i redditi più elevato (quelli attorno a 50 mila euro).

 

Ora, il governo Meloni, tra legge di Bilancio e Def, mobilita 7,8 miliardi – una somma pari a quella del governo Draghi – ma concentra tutte le risorse sui redditi più bassi. Cosa vuole di più la Cgil? Meloni e Giorgetti hanno tagliato sussidi che andavano prevalentemente ai ricchi (sconto sulle accise e Superbonus) e redistribuito le risorse a favore dei più poveri. Parrebbe una politica di sinistra, magari non sufficiente per Landini, ma che forse non merita la minaccia dello sciopero come risposta.

 

Il limite della decontribuzione di Meloni e Giorgetti, che è poi lo stesso del governo Draghi, è che si tratta di una misura temporanea, il cui rinnovo su base annuale costa circa 10 miliardi. Ma in genere le decontribuzioni vengono rinnovate, perché il prezzo politico del non farlo è elevato. Sarà un problema del governo trovare le risorse nella prossima legge di Bilancio, e forse è allora che una mobilitazione del sindacato sarà più utile.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali