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Houthi e made in Italy

“Quella nel Mar Rosso è una guerra commerciale”. Parla Elvio Silvagni (Valleverde)

Mariarosaria Marchesano

“Serve un intervento militare Ue, questa è una guerra alle impreseche punta ad alterare le regole globali. Perciò l’Italia, con l’Europa, deve fare tutto ciò che necessario per ristabilire un equilibrio”. Ha ragione Crosetto”, ci dice il proprietario di Valleverde

“Sono d’accordo con il ministro Crosetto, quella in atto nel Mar Rosso è una guerra commerciale che punta ad alterare le regole globali. Perciò l’Italia, con l’Europa, deve fare tutto ciò che necessario per ristabilire un equilibrio”. Anche con l’uso della forza? “Certamente, anzi, bisognava intervenire anche prima perché adesso i danni economici sono in parte irreparabili”. A parlare è un piccolo-medio imprenditore calzaturiero italiano, Elvio Silvagni, proprietario della Valleverde, azienda con 31,5 milioni di fatturato realizzato nel 2023 e una catena produttiva che si allunga fino all’estremo oriente. “Produciamo il 70 per cento delle scarpe in Europa – racconta al Foglio – ma un terzo di semilavorati e prodotto finito arriva da paesi come Cina, Bangladesh, India e Pakistan. Per noi il blocco del transito delle navi dal canale di Suez si traduce in un danno potenziale rilevante a cui, però, speriamo di far fronte in qualche modo. Ma in condizioni anche più pesanti si trovano oggi centinaia di imprese del distretto calzaturiero che non so quanto potranno resistere”. 

Eppure, non è la prima volta che i produttori del made in Italy hanno a che fare con le interruzioni delle catene di approvvigionamento, basti pensare al periodo della pandemia quando le navi si fermavano per mesi nel porto di Shanghai.  “Siamo da tempo impegnati a fronteggiare le conseguenze di un quadro geopolitico sempre più complesso – dice Silvagni – ma la difficile situazione nel Mar Rosso sta facendo incrementare esageratamente i costi di trasporto delle merci. E’ vero che non permettere alle navi commerciali occidentali di passare per il canale di Suez, costringendole a circumnavigare l’Africa, equivale a danneggiare alcuni paesi a vantaggio di altri. Per questo riteniamo che sia il nostro governo sia l’Unione europea dovrebbero immediatamente intervenire, anche militarmente, per garantire gli interessi commerciali dell’Italia e della stessa Europa’’. 
Il ministro Crosetto, in un’intervista alla Stampa, è stato chiaro: le navi russe e cinesi non vengono attaccate dalle milizie houthi e la cosa ormai viene annunciata apertamente. Questo crea un disallineamento commerciale, perché le merci di questi paesi hanno costi di trasporto e di assicurazione inferiori, cosa che si riflette sui prezzi. Insomma, “è una guerra che si innesca su un’altra guerra”, ha detto Crosetto. Ma perché il proprietario della Valleverde pensa che l’Europa sia in ritardo? Non è una posizione un po’ estrema barattare la pace con il profitto delle imprese? “Mi rendo conto che per trovare una posizione condivisa, paesi come Italia, Francia e Germania abbiano avuto bisogno di tempo, ma si poteva agire anche prima e non per tutelare l’interesse delle imprese”.


“A subire le conseguenze di questa situazione è l’intero sistema economico e occupazionale dell’Italia e dell’Europa – dice il patron di Valleverde –. Per rendersene conto, basta conoscere come funzionano i meccanismi della produzione e della commercializzazione di prodotti legati ai mercati globali come scarpe e vestiti, ma lo stesso discorso vale anche per l’automotive”. Può spiegarsi meglio? “Parlo per il mio settore dove opero da quarant’anni: se le collezioni estive sono in parte salve perché beneficiano ancora del calo del costo delle materie prime che si è visto dopo la fine della crisi pandemica, dal prossimo autunno si vedrà in modo netto la crescita dei prezzi al dettaglio per effetto dei rincari dei viaggi marittimi conseguenti alla crisi di Suez. E questo vorrà dire più inflazione”. 

In effetti, basta guardare i borsini delle quotazioni dei noli tra Shanghai e il porto di Genova (con lievitazioni dei costi che arrivano all’85 per cento) per farsi una rapida idea. Se i produttori vogliono evitare di licenziare o di chiudere bottega non potranno fare altro che scaricare a valle l’aggravio dei costi subiti. Non è così? “Esattamente, per non parlare del fatto che per noi produttori consegnare in ritardo le merci ai negozianti equivale a vedercele tornare indietro perché rischiano di essere fuori stagione. Per questo dico che non c’è tempo da perdere: se l’incertezza dei viaggi sul Mar Rosso perdura, sarà inevitabile per l’Europa fare i conti con il ritorno dell’inflazione entro fine anno il che vuol dire che la Bce sarà meno propensa ad avviare la riduzione del costo del denaro che i piccoli imprenditori stanno aspettando. Insomma, rischia di innescarsi una crisi generale”. 
Eppure, si rammarica ancora Silvagni, l’inflazione sembrava quasi sconfitta dopo anni in cui ha eroso il potere di acquisto delle famiglie. “Interagendo ogni giorno con varie aree geografiche – osserva – abbiamo potuto toccare con mano quanto l’Europa abbia pagato il prezzo più alto per la guerra russo-ucraina poiché né i paesi orientali hanno subìto inflazione da beni energetici né gli Stati Uniti, dove i rincari dei prezzi sono stati più la conseguenza di una crescita economica sostenuta. Adesso che si ricominciava a respirare si rischia di ricominciare tutto daccapo”.
 

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