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L'intervento

Cresce la sfiducia sul debito, il governo aggiusti i conti. Un appello

Guido Ascari, Giancarlo Corsetti e Riccardo Trezzi

L’andamento dei mercati indica che l’azione della Banca centrale europea deve essere accompagnata da un aggiustamento fiscale, pena problemi seri in un futuro non lontano

Nella giornata di venerdì 6 Ottobre, il tasso dei titoli italiani decennali ha toccato il 5 per cento, il dato più alto dal 2011. Solo nelle ultime 4 settimane, il rendimento a lunga dei titoli di stato italiani è cresciuto di quasi 100 punti base, un’enormità in un arco temporale così breve. Questo intervento è un richiamo a un semplice principio di buonsenso: l’andamento dei mercati indica che l’azione della Banca centrale europea deve essere accompagnata da un aggiustamento fiscale, pena problemi seri in un futuro non lontano. 

 

L’inflazione sperimentata dell’Italia e dal mondo negli ultimi anni è un fenomeno macroeconomico che non si vedeva da decenni. Un aumento sostenuto dei prezzi è, per definizione, causato da un disallineamento tra domanda e offerta. Nello specifico, il Covid e poi la guerra in Ucraina hanno prodotto una sequenza di shock negativi dal lato dell’offerta (chiusure delle fabbriche, problemi alle catene del valore globale, carenza di manodopera, prezzo del gas, etc..) ai quali il settore privato, le banche centrali e il governo hanno risposto con una sequenza di policy shock positivi dal lato della domanda. Il risultato della combinazione è stato non solo la forte ripresa dell’attività economica dopo l’impatto devastante della pandemia, ma un vero e proprio boom del mercato del lavoro: l’Italia ha oggi il record di occupati mai registrato e il più alto tasso di occupazione degli ultimi 50 anni. A questo risultato ha, però, fatto da contraltare l’inflazione elevata. 

 

La politica ha dato alla banca centrale un mandato preciso: la stabilità dei prezzi, intesa come un tasso d’inflazione moderato nel medio-periodo. Per questo, la Banca centrale europea ha risposto nell’unico modo possibile, ovvero alzando i tassi di rifinanziamento al fine di moderare la domanda aggregata e riportarla in linea con l’offerta. Dal lato fiscale, invece, i programmi di stimolo che durante la pandemia hanno evitato il peggio, hanno continuato ad alimentare in modo sostenuto la domanda nel presente, spostando, ingigantendolo, l’onere dell’aggiustamento nel futuro. Un dato dovrebbe far riflettere: l’Italia è un paese con alto deficit e saldo primario negativo, pur avendo il miglior mercato del lavoro in termini di occupati da decenni. Di fronte a noi ci sono anni in cui il conto degli interventi straordinari come il Superbonus peserà fortemente su sanità, istruzione, sicurezza, oltre alle nuove incombenze legate al cambiamento climatico. Al nostro paese sarà più che mai necessario avere flessibilità e spazio per continuare a usare la leva fiscale. Politiche monetaria e fiscale che si muovono in direzioni opposte non solo complicano il rientro dall’alta inflazione ma finiscono per erodere capacità e stabilità fiscale. Nelle ultime settimane, come ricordato in apertura, i mercati hanno iniziato a chiedere rendimenti sempre più elevati, sia perché non abbiamo certezza su quando l’inflazione tornerà al target del 2 per cento (si vedano le ultime proiezioni della Bce), sia perché gli investitori hanno iniziato a condividere dubbi sulla sostenibilità delle finanze pubbliche. L’esperienza degli ultimi anni ci insegna che se questi dubbi si traducono in un’impennata del costo dell’indebitamento pubblico avremo contestualmente un peggioramento del finanziamento alle imprese e alle famiglie e un impulso recessivo a peggiorare la posizione fiscale. 

 

In questo quadro, deficit elevati equivalgono a gettare benzina sul fuoco che si sta sviluppando nella parte a lunga della curva dei rendimenti. Affinché i mercati possano continuare a finanziare il debito a tassi contenuti, occorre dare prova tangibile di prudente aggiustamento fiscale. Più si aspetta, più alto è il rischio di dover aggiustare pesantemente i conti sotto stress finanziario e in modo pro-ciclico, ovvero durante una fase di rallentamento dell’economia quando invece il sostegno della domanda è essenziale. La politica di bilancio nei 15 anni pre-Covid è stata condotta nella presunzione che la politica fiscale potesse essere espansiva a piacere perché il costo del denaro era bassissimo. Il mercato dei capitali ci sta dicendo che quel mondo è alle nostre spalle e che l’attuale assomiglia a quello degli anni ’80-’90. Nel nuovo mondo, per mettere in sicurezza le finanze pubbliche, occorre che la politica di bilancio sia mirata a non perdere il controllo sul costo dell’indebitamento.


Le opinioni espresse nell’articolo sono personali degli autori e non riflettono in alcun modo la visione ufficiale della Banca Centrale Olandese, di cui Guido Ascari (Università di Pavia) è advisor

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