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A Taranto

Ilva, i cinque anni di agonia dal “piano Di Maio”

Annarita Digiorgio

Ieri, secondo gli accordi firmati nel 2018, era previsto il ritorno in azienda di 1800 lavoratori. Nessuno è tornato, e questo perché il governo Conte prima tolse lo scudo penale e poi cambiò in gran segreto gli accordi

Taranto. Si è celebrato ieri il quinto anniversario del famoso “accordo Ilva” firmato dall’allora ministro Luigi Di Maio, quando, l’8 settembre 2018, disse “siamo arrivati e in tre mesi abbiamo risolto la crisi Ilva”. “Un’eutanasia programmata” la chiama oggi il segretario Uilm Rocco Palombella. La data di ieri è importante perchè quell’accordo prevedeva che dopo cinque anni sarebbero rientrati in azienda i 1.800 lavoratori non assunti da ArcelorMittal nel 2018 e rimasti in cassa integrazione sotto l’amministrazione straordinaria fino al riassorbimento. Che sarebbe dovuto avvenire proprio dal 2023, cioè quando sarebbe stato completato il piano ambientale che avrebbe consentito l’aumento della produzione a 8 milioni di tonnellate.

Un “accordo a zero esuberi” dissero i sindacati, che non vollero firmare l’accordo del ministro Carlo Calenda che invece ne prevedeva 2.000. Fu proprio Palombella a consegnare quel giorno a Di Maio l’elmetto della Uilm, festeggiando l’accordo raggiunto. Oggi il sindacalista dice: “Un sogno infranto al quale tutti avevamo creduto. Nessuno degli impegni è stato mantenuto e c’è un silenzio assordante”. Non solo nessuno di quei 1.800 cassintegrati è stato riassorbito, ma degli 8 mila assunti ce ne sono altri 3 mila in cassa integrazione.

Questo perché il governo Conte prima tolse lo scudo penale, poi a marzo 2020, per evitare “la causa del secolo”, cambiò in gran segreto gli accordi parasociali stralciando la riassunzione degli operai in esubero in Ilva in As. Che ovviamente rimarranno in Cigs fino alla pensione, dato che nessun governo si prenderà la responsabilità di lasciarli senza stipendio, neppure quelli che si vantano di abolire il Reddito di cittadinanza e poi ne mantengono uno a vita e con il doppio del salario. Che poi è la ragione per cui il M5s anziché chiudere l’Ilva come promesso, ha preferito far entrare lo stato causandone una lenta agonia. Nel 2024, quando si spegneranno anche i due altoforni arrivati a fine ciclo, resteranno in Cigs a vita tutti i 10 mila lavoratori e l’Italia senza acciaio. Gratuitamente.

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