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l'intervento

Bene la decontribuzione, ma il governo corregga l'effetto boomerang

Roberto Benaglia

Rivedere gli scaglioni delle aliquote Irpef e prevedere un "decalage" sopra i 35mila euro. Le proposte della Fim Cisl per sistemare le storture fiscali del misura 

Abbassare le tasse pagate di chi lavora, sempre nei limiti dei vincoli di bilancio pubblico, è non solo un’esigenza prioritaria che il sindacato pone per alzare i salari netti e riequilibrare le ingiustizie fiscali tipiche del nostro paese, ma costituisce una delle principali questioni per ogni governo, soprattutto in questa era di alta inflazione e di erosione del potere di acquisto dei salari.

Il governo Meloni è intervenuto in modo significativo con il decreto Lavoro del 1° Maggio scorso, sulla scia della misura varata dal governo Draghi, moltiplicando in modo importante il taglio della contribuzione a carico dei lavoratori con ulteriori 4 punti percentuali, dopo i 3 per i redditi fino a 25mila euro e i 2 per quelli fino a 35mila euro.

La misura darà da luglio un vero e proprio importante sostegno ai salari reali netti dei lavoratori a medio-basso reddito e in questo senso è significativa e sacrosanta. Ma, come sollevato giustamente ieri sulle pagine del Foglio da Luciano Capone e Leonzio Rizzo, la stessa presenta un effetto distorsivo ingiusto e grave per i lavoratori che vanno in questi 6 mesi a superare i 2.692 euro di retribuzione lorda mensile ovvero i 35 mila euro annui. Non è questione di poco conto se pensiamo che superare questa soglia per aver lavorato qualche ora in più o aver ottenuto un meritato aumento contrattuale porta ad avere di colpo un taglio retributivo di oltre 700 euro netti annui, arrivando a percepire di fatto come se si guadagnassero 2 mila euro in meno all’anno.

Il tema è ancora più esplosivo in quanto in epoca di alta inflazione i salari sono destinati a crescere per via contrattuale o unilaterale di molto in via nominale, ma unicamente per mantenere lo stesso potere di acquisto e non per incrementarlo realmente. Se inoltre pensiamo che attorno alla soglia fatidica dei 35 mila euro annui si concentra la maggioranza dei lavoratori dell’intero comparto industriale e metalmeccanico, questa “distorsione a perdere” rischia di colpire una fetta di lavoratori non del tutto residuale e comunque nel tempo crescente.

Si dirà che ogni volta che le politiche fiscali pongono delle soglie, queste dividono inevitabilmente beneficiati e non. Ma in questo caso rischiamo di avere lavoratori “incentivati” a non avere aumenti o a non lavorare di più per non perdere la importante decontribuzione.

Che fare? E’ del tutto urgente e opportuno che nel definire la prossima legge di Bilancio e la stabilizzazione, per il sindacato indispensabile, del vantaggio contributivo si vada a correggere questo grave inciampo. Come? Va almeno previsto un “decalage” sopra la soglia dei 35 mila euro che permetta di neutralizzare il rischio di perdita del netto in busta paga. Personalmente credo complesso e fuori luogo lavorare sul livello Isee di ogni lavoratore, come proposto da Capone e Rizzo sul  Foglio. Vorrei invece che il governo affrontasse più decisamente la questione del fisco. I metalmeccanici che stanno con gli aumenti contrattuali recuperando il potere di acquisto, per effetto del fiscal drag pagano ormai una aliquota marginale attorno al 50 per cento complessivo su questi incrementi. Una cosa assurda. Adeguare gli scaglioni delle aliquote Irpef e soprattutto la curva progressiva delle detrazioni, inserendo qui le risorse ulteriori per aumentare il netto in busta paga è forse l’antica regola usata negli anni ’90 e che deve poter tornare di moda. 

Per un sindacato contrattualista quale i metalmeccanici sono, portare a casa aumenti che vengono mangiati dal fisco o dalle distorsioni del sistema non è certo un fatto accettabile.

 

Roberto Benaglia, segretario generale Fim Cisl

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